31: torna Rob Zombie con un manipolo di clown psicotici che al confronto Pennywise è Ronald Mc Donald. La recensione di Massimo Zammataro.

Gli anni ’70, dal punto di vista artistico, furono un’epoca meravigliosa di cui, più o meno consciamente, tuttora non possiamo fare a meno. Il cinema dell’orrore di quel decennio ci regalò perle assolute che dettarono le regole per l’horror degli anni a venire. Rob Zombie, cantante e film-maker, questo lo sa: conosce le regole e conosce la materia, essendone evidentemente infatuato.

Nei suoi film, gli anni ’70 sono sempre presenti: anche se non come mero dato di collocazione temporale delle vicende narrate, li ritroviamo in un certo modo di girare, nella fotografia, nelle atmosfere, nelle musiche. I seventies sono lì, convitati di pietra che ci ricordano da dove veniamo, non senza un briciolo di malinconia per quei bei tempi andati in cui anche la più sgrausa delle produzioni avrebbe battuto 4 a 0 uno qualsiasi degli omologati (a tutto) film odierni.

Il film

Parliamo dunque di 31, l’ultima fatica del citato Rob Zombie, film dalla lunga gestazione e prodotto praticamente grazie al crowdfunding (cose che funzionano veramente solo negli States, purtroppo).

31 ci porta direttamente nel giorno di Halloween del 1976, data in cui una scalcagnata compagnia vagante di teatranti hippies in tournée permanente ha la sfortuna di transitare, con il classico pullmino VW, nell’ennesimo buco di culo dell’entroterra americano popolato di bifolchi zozzi e gente strana. Notte tempo, alcuni dei nostri vengono rapiti (altri ammazzati in loco) e portati al cospetto di tre dementi vestiti con parrucche ed abiti settecenteschi che li costringono ad un survival game chiamato, appunto, 31. Scopo del gioco è sopravvivere per 12 ore agli psicotici clown assassini che verranno scagliati loro addosso dai tre damerini (un uomo e due donne).

Cominciando da un grottesco sadico nano nazista fino al meraviglioso Doom-head (uno dei migliori villain degli ultimi tempi), 31 ci offre un campionario di efferatezze che gli hanno fatto guadagnare un triplo passaggio in censura e, verosimilmente, parecchi tagli prima di poter “godere” solo della famigerata R americana. La versione uncut sarà comunque disponibile nella release in dvd/blu-ray.

Merita una menzione il più bel duello di motoseghe dai tempi di Non aprite quella porta 2.

Un delirante bagno di sangue

Come dicevo all’inizio, qui gli anni ’70 ci sono e Zombie non ha paura (né mai l’ha avuta in precedenza) di confrontarsi con loro attingendo a piene mani alla filmografia dell’epoca senza mai essere pedante o palesemente citazionista: troviamo sì il corredo classico del genere, tanto caro al regista – ambienti sperduti e degradati, giovani spensierati da usare come carne da cannone, folli sadici ed assassini e via dicendo – ma fusi in un perfetto amalgama in puro stile seventies, ciò a cui Rob Zombie ci ha abituato sin da La casa dei 1000 corpi fino al fulciano Le Streghe di Salem.

E anche in 31, come nel testé citato Le Streghe, a modesto parere di chi scrive non manca il richiamo al nostro cinema dell’epoca: le luci rosse, verdi, gialle e blu che saturano gli ambienti a sottolineare le atmosfere e le sensazioni dei protagonisti in determinate situazioni, non possono non richiamare alla mente la lezione argentiana di Suspiria prima e Inferno poi. In ogni caso, il culo della Sheri Moon Zombie ha sempre il suo bel perché.

In definitiva, 31 è un delirante bagno di sangue con cui Rob Zombie torna da un lato alle sue origini (La casa dei 1000 corpi) quanto a certi tòpoi classici ricorrenti, ma dall’altro riesce a restituire a noi amanti del decennio d’oro dell’horror qualcosa che, seppur non perfetto, ci riporta la bella sensazione di essere ancora adolescenti inchiodati alle sedie scomode di un cinema del 1976 o giù di lì.

E in questi tempi di reboot e remake non è poca cosa.