A Star is born di Bradley Cooper, la recensione di Matteo Strukul per Sugarpulp MAGAZINE direttamente dalla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.

A Star is born di e con Bradley Cooper è il terzo remake del film originale del 1937 di William Wellman.

Prima di lui già George Cukor e Frank Pierson avevano raccontato la più classica delle love-story, rispettivamente con Judy Garland e James Mason il primo e Barbra Streisand e Kris Kristofferson il secondo.

Niente di nuovo sotto il sole insomma, al punto che il copione ormai si è fatto archetipo, modello narrativo per eccellenza: Jackson Maine, rockstar stagionata con problemi di alcool e droga, incontra in un club notturno una ragazza dalla voce pazzesca.

Lei si chiama Ally ed è interpretata da Lady Gaga. Lui la invita alla tappa successiva del suo tour, la chiama sul palco e lei spakka. Arrivano il contratto discografico, il matrimonio con Jackson, i Grammy, ma quella che sembra una favola, il sogno a lungo atteso, rischia di infrangersi contro i fantasmi e i demoni di lui.

Suona classico? Certo. Scontato? Forse. Melò? Anche.

Però… però resta il fatto che Bradley Cooper è proprio un bravo attore e un regista competente e credibile, tanto che questa sua nuova versione di È nata una stella fila alla grande e si rivela per quello che è: un film ad alto budget ben prodotto e ben girato, con attori in parte, ritmo da vendere, buona scrittura e personaggi mai banali o accennati ma anzi con fragilità e contraddizioni tali da renderli umani e credibili.

Insomma non abbiamo sotto gli occhi un capolavoro ma certamente un buon film con alcune scene di sicuro impatto come il concerto rock nella sequenza iniziale, l’esibizione di Ally nel drag queen club, la notte in cui Jackson e Ally parlano per la prima volta e s’innamorano e avanti di questo passo.

Se si poteva aver paura che Cooper non cantasse bene o Lady Gaga non sapesse recitare ebbene entrambi i timori sono sconfessati nei fatti perché la voce del primo funziona alla grande e l’interpretazione della seconda è davvero buona.

Non ci sono cali di ritmo, forse l’elemento melodrammatico è, talvolta, leggermente troppo carico ma parliamo davvero di un dettaglio.

Quello che colpisce è la solidità dell’insieme, la crescita esponenziale di Cooper non tanto come attore – è fra i più talentuosi della sua generazione e lo sappiamo bene, film come Limitless, Il lato positivo e American Sniper stanno lì a dimostrarlo – ma come uomo di cinema.

Il film che propone, offre una visione di film intelligente, popolare, insomma grande intrattenimento realizzato in modo impeccabile. In questo il fatto di misurarsi con un classico è stata una scelta molto azzeccata perché gli evita gravi scivoloni in termini di snodi narrativi che, infatti, non ci sono. Se continuerà su questa strada è più che probabile che arrivi a girare un gran film.

Quanto a Lady Gaga non solo assistiamo a un’ottima prova attoriale ma apprezziamo la sua capacità introspettiva e una sensibilità sorprendente nel rivelare la vulnerabilità del proprio personaggio.

Anche qui forse, all’inizio, nella prima scena, l’interpretazione è leggermente sovraccarica ma poi la cantante aggiusta quasi subito il registro e se ne esce con una performance molto convincente. La voce è devastante. Che ve lo dico a fare?

Insomma, un film davvero bello e sensibile, sotto tutti i punti di vista. Non delude. Anzi a tratti quasi commuove, come denunciano i tanti occhi lucidi appena si accendono le luci in Sala Darsena.