John Ridley, scrittore, sceneggiatore (premio Oscar), produttore, regista. Fabio Migneco ci guida alla scoperta di uno dei nomi più interessante del panorama culturale USA

Se avete fatto un salto all’ultima Sugarpulp Convention (e se non l’avete fatto peggio per voi, anzi shame on you!) non potete non averlo notato, fatto la conoscenza, comprato un libro al suo stand o anche semplicemente ascoltato di sfuggita una delle sue perle (e ne regala a ritmi vertiginosi, celeberrime le sue instant-review, dovrebbero usare quelle per i blurb e le fascette dei libri).

Parlo del libraio che cadde sulla terra… quella dura… sul lato sbagliato… di spigolo… sui denti, al secolo Mauro Falciani.

Il Falcio, bontà sua, è sempre prodigo di consigli letterari, vero e proprio pusher di pulp/noir come non ne fanno quasi più.

“Ciccio l’hai letto questo?” mi disse porgendomi una copia di un libro che conoscevo ma che no, non avevo mai letto. “Ho visto il film” risposi, manco fossi stato John McClane che tagliava corto sulla battaglia delle Ardenne.

Con l’aria di chi voleva dire, sia pure in amicizia, “povero stolto”, disse invece, perentorio, “allora te lo pigli” e lo aggiunse alla già considerevole pila di libri che avrei comprato di lì alla fine del festival.

Alla scoperta di John Ridley

Il libro in questione era Cani Randagi di John Ridley, nell’introvabile edizione Frassinelli fuori catalogo ormai da ere geologiche e con tanto di fascetta che rimandava al film di cui sopra, U-Turn di Oliver Stone, con Sean Penn, Jennifer Lopez, Nick Nolte e un mucchio di altri attori coi controcazzi.

Qualcuno magari ha l’edizione Garzanti, dal titolo Come cani randagi, casa editrice che pubblicò altri romanzi dell’autore americano, tutti esauriti purtroppo, ma andiamo con ordine.

Mentre lo leggevo pensavo “wow, ma è proprio una bomba… è un film fatto e finito”. Per forza una vecchia volpe di Hollywood come Stone pensò bene di farci un film. E a quanto pare zio Oliver ama leggere le stesse cose che amiamo noi, visto che non disdegna ogni tanto di fare un film tratto da qualche romanzo crime, anche di recente con Le Belve di Don Winslow.

Divoratolo in pochissimo tempo, che è già un segnale preciso per me – che sono un lettore onnivoro ma piuttosto lento lo ammetto, sono giunto alla conclusione che se uno è intenzionato a scrivere un romanzo crime-pulp-noir chiamatelo come volete, soprattutto se è un romanzo d’esordio, deve scrivere una roba del genere.

Precisa, diretta, secca, senza orpelli, senza menate, che fila via liscia e oliatissima, con un meccanismo narrativo a orologeria e che rimane in testa anche parecchio tempo dopo aver finito la lettura. Con personaggi folli e accattivanti, senso dell’azione e un ritmo martellante.

E allora mi sono chiesto cos’altro avesse scritto questo Ridley, che tra l’altro era un nome che avevo sentito o letto anche altre volte, soprattutto in ambito filmico.

E ho iniziato una delle mie solite ricerche ossessivo-compulsivo-monotematiche, le stesse che ho sempre fatto quando scopro qualche autore che mi piace, di libri, dischi, film o fumetti che siano.

John Ridley è il prefetto autore Sugarpulp secondo me. Per il tipo di carriera che ha saputo costruirsi, per i media in cui spazia con disinvoltura, per la mentalità cross-mediale appunto che lo ha sempre contraddistinto sin dagli esordi.

Narrativa, cinema, tv, fumetto, Ridley è riuscito a lasciare un segno in ognuno di questi campi. È uno scrittore poco noto e sicuramente sottostimato, quando invece non ha nulla da invidiare ad altri nomi più blasonati. Sarebbe bello conoscerlo di persona, magari proprio a una prossima Sugarpulp Convention, se i terribili ragazzi patavini riusciranno nell’ennesimo miracolo.

Nel frattempo provo a farvelo conoscere un po’ io, così nel caso arriviamo preparati all’appuntamento.

Alla scoperta di John Ridley

Gli esordi a New York

Il prossimo ottobre John Ridley compirà 50 anni tondi tondi, essendo nato nel 1965 a Milwaukee. Negli anni dell’università si trasferì a New York, dove nonostante il suo bagaglio culturale (specializzazione in lingue asiatiche e un anno sul groppone in Giappone) decise di perseguire una carriera nello show business, iniziando come fanno in tanti, come stand-up comedian nei club della città.

Probabile abbia anche incrociato più di una volta gente come Louis C.K., chiedendosi se sarebbero mai diventati come i colleghi del Saturday Night Live, come Adam Sandler o Chris Rock.

Da qualche parte su YouTube c’è ancora qualche video che lo ritrae in queste vesti, davanti all’asta col microfono a far ridere il pubblico. E ci riusciva eh, sia chiaro, tanto da finire nei late show come quello di David Letterman o il Tonight Show.

Ma capì che non sarebbe mai diventato come Sandler o Rock o come C.K. sperava di diventare e poi anni dopo è diventato. E mollò gli spettacoli stand-up trasferendosi a Los Angeles all’inizio degli anni ’90.

Le mille luci di Los Angeles

Qui iniziò a lavorare come autore di sit-com e di spettacoli per altri comici, scrivendo episodi di Martin per Martin Lawrence, di Il principe di Bel-Air per Will Smith (e allora dio della celluloide – che ormai devi anche cambiar nome – fai scrivere a Ridley lo script per Bad Boys 3, esaudisci le preghiere di un povero pazzo!) dove in una puntata appariva nei panni di sé stesso, e del John Larroquette Show per John Larroquette ovviamente (che, nel caso ve lo steste chiedendo era il pazzo che stalkerava Kim Basinger in quanto sua ex e Bruce Willis in quanto nuova fiamma di lei, nel mirabile Appuntamento al buio di Blake Edwards, rincorrendo il futuro action-hero al grido di “te la vuoi scopare? Figlio di puttanaaaa!” poi sì, ha fatto tante altre cose ma il suo ruolo cult resta quello).

In parallelo aveva già iniziato a scrivere, sia romanzi, sia sceneggiature. Il primo romanzo fu un discreto successo tanto da catturare l’attenzione di Oliver Stone, che non solo gli fece scrivere la sceneggiatura (pur rimaneggiando qualcosina qua e là – stiamo pur sempre parlando del tizio che oltre a dirigere i film che ha diretto ha anche scritto Scarface, tanto per dirne uno), ma gli produsse anche un altro script, divenuto poi la sua prima regia, Cold Around the Heart, film con David Caruso, sempre nel solco delle tematiche già padroneggiate nel primo romanzo, ma che non ebbe alcun successo, nonostante un premio per la miglior regia all’Urban World Film Festival.

I romanzi

E siamo al 1997. Ridley continua la carriera di romanziere, con titoli quali Cose che capitano solo a Los Angeles, All’inferno fumano tutti e Inferno solo andata, tutti pubblicati qui in Italia dalla Garzanti all’inizio del nuovo millennio.

In ognuno dei romanzi le sue qualità di narratore crescono e si arricchiscono di nuove sfumature pur essendo le sue trame variazioni sul tema, per quanto intelligenti e sempre puntuali, del loser schiacciato dagli eventi, tanto della sua vita passata quanto della trama in cui rimane invischiato, in una girandola di personaggi folli, descrizioni sapide, colpi di scena e meravigliose dark ladies.

Il tutto dando sempre un ritratto cinico e spietato di Los Angeles, dei suoi gironi infernali, del suo sottobosco di sognatori più o meno falliti e di attricette bruciate all’ombra della grande scritta sulle colline.

Ridley ha scritto altri tre romanzi, toccando così quota sette, l’ultimo è del 2007, scritto insieme a Patricia R. Floyd, What Fire Cannot Burn, seconda parte del dittico iniziato nel 2003 con Those Who Walk in Darkness, incentrati sulla figura di Soledad, poliziotta in un futuro prossimo venturo dove la terra è popolata anche da mutati di ogni sorta. Il primo romanzo è anche diventato una webserie animata poi raccolta in dvd in cui Soledad ha la voce della nota rapper Lil’ Kim.

L’altra sua fatica letteraria inedita in Italia è A conversation with the Mann, storia di un commediante di colore ambientata nei primi anni del movimento per i diritti civili.

Alla scoperta di John Ridley - U Turn

I fumetti

Il mondo del fumetto è stato finora il più marginale per lo scrittore, che pure ha scritto alcune graphic novel di rilievo, tra cui una per la serie The Authority, Human on the inside, pubblicata anche da noi dalla Magic Press; il numero 5 di The Razor’s Edge: Warblade per la DC Comics, e per la Wildstorm-DC la miniserie in 8 numeri The American Way, sorta di rilettura in stile Watchmen dei poveri della storia americana anni ’50 e ’60.

Ha anche scritto, nel 2005, una pièce teatrale, rappresentata in California, intitolata Ten Thousand Years, diretta da Kipp Shiotani.

Ma è stato il cinema, e la scrittura di sceneggiature in particolare, a dargli le più grandi soddisfazioni professionali – e anche personali, se pensiamo che la moglie Gayle Yoshida, con cui ha avuto due figli, faceva la script supervisor ed è così che l’ha conosciuta.

Pensare che inizialmente le cose non giravano bene in quel campo. Prima c’era stata la polemica con Oliver Stone – che se non ne fa almeno una a film non è contento – perché il romanzo sarebbe uscito prima della pellicola e questo avrebbe rovinato l’impatto del film ecc.

La consacrazione al cinema

Tanto che volle cambiare il titolo in U-Turn, peccato che al botteghino il film non andò comunque come sperato – a dispetto del fatto che è un solido film di genere nonostante quanto abbiate potuto sentire in giro, soprattutto all’epoca.

Poi ci fu il caso della sua prima sceneggiatura originale, Spoils of War, ambientata durante la Guerra del Golfo e scritta come allenamento ed esperimento, ultimata in una settimana e comprata dalla Warner Bros diciotto giorni dopo.

Il film venne girato da David O. Russell, che lo riscrisse quasi in toto facendolo diventare Three Kings, sul set del quale arrivò anche alle mani con George Clooney. Ridley venne estromesso dalla realizzazione, non venne mai contattato per nessuno dei cambi allo script, ma gli venne accordato e corrisposto da Russell e dalla Warner, il credit per il soggetto del film.

Un’esperienza che ancora oggi definisce infelice e pur non serbando rancore verso nessuno riuscì a bloccare i tentativi di Russell di far pubblicare la sceneggiatura poi girata. Quella originale di Ridley si trova agevolmente on-line per chi ha tempo e voglia.

Nel 2002 scrisse, per la regia del cugino di Spike Lee, Malcolm D. Lee, Undercover Brother, action comedy parodistica, sorta di versione afroamericana di Austin Powers, presa in giro tanto degli spy movie quanto dei film del filone blaxploitation anni ’70, tratta dalla webserie omonima creata dallo stesso Ridley poco prima, con nel cast Eddie Griffin, Denise Richards, Dave Chapelle e Neil Patrick Harris.

Tra televisione e cinema

Autore di alcuni episodi per serie animate come Static Shock o la versione a cartoni della Justice League, Ridley torna alla tv come consulente creativo e sceneggiatore di otto episodi della serie Squadra Emergenza, in onda tra il 1999 e il 2005.

È stato autore e regista di alcuni episodi della serie tv Barbershop tratta dall’omonimo successo cinematografico con protagonista Ice Cube. È tornato alla commedia come capo autore per il Wanda Sykes Show tra il 2009 e il 2010, per poi far ritorno di prepotenza al cinema.

Prima con lo script di Red Tails, commissionatogli da George Lucas, film diretto da Anthony Hemingway e interpretato da Terrence Howard e Cuba Gooding Jr., su un gruppo di piloti militari afroamericani nella Seconda Guerra Mondiale. Progetto per il quale ha dovuto farsi largo nella miriade di informazioni archiviate da Lucas negli anni e che lo riguardava da vicino, in quanto un suo zio partecipò ai fatti narrati nel film.

Più o meno allo stesso tempo aveva scritto il pilota di Da Brick ipotetica serie HBO su Tyson diretta da Spike Lee, ma poi non se ne fece più niente (anche se ancora non è detta l’ultima parola soprattutto dopo che Lee ha filmato Tyson sul palco per il suo show confessione The Undisputed Truth).

Ma è nel 2013 che arriva la consacrazione per il suo lavoro di scrittore.

Alla scoperta di John Ridley Jimi All Is By My Side  Jimi Hendrix

La consacrazione

Prima scrive e gira il suo secondo lungometraggio, Jimi: All is by my side, apprezzatissimo nel circuito dei festival, ma purtroppo poco visto, con André Benjamin nei panni di Jimi Hendrix, rappresentato nel suo periodo londinese.

Ma il film esce dopo la svolta professionale: 12 anni schiavo, diretto da Steve McQueen e basato sul libro di memorie di Solomon Northup interpretato sul grande schermo dal bravissimo Chiwetel Ejiofor, contornato da un cast a cinque stelle, vince tre oscar. Uno per il miglior film. Uno per la miglior attrice non protagonista, Lupita Nyong’o. E uno per la miglior sceneggiatura non originale. Scritta proprio da John Ridley.

Un riconoscimento questo che lo ha messo nella lista degli sceneggiatori che contano, quelli che gli studios fanno a gara per accaparrarsi, tanto che ha già alcuni progetti in fase di sviluppo. Dal remake di Ben-Hur – che pare cosa fatta, diretto da Timur Bekmambetov e in uscita nel 2016 – a un biopic su Marion Barry, ex sindaco di Washington che vedrebbe Eddie Murphy protagonista e Spike Lee regista.

Fino al progetto che più fa gola, L.A. Riots, sulle rivolte post Rodney King, regista annunciato Justin Lin, quello dei vari Fast and Furious. Ma siamo ancora nel limbo della pre-produzione dove tutto può accadere, compreso, anzi spesso accade quello e basta, il nulla più assoluto. Staremo a vedere.

Quello che è certo è che a farsi viva è stata prima la tv, nella fattispecie la ABC, che voleva un prodotto che potesse competere con i migliori show dei canali via cavo

Ridley non se l’è fatto ripetere due volte e ha colto l’occasione, diventando così creatore, sceneggiatore, showrunner e in alcuni episodi regista, del drama American Crime, che gli è valso le lodi praticamente unanimi della critica e, se tutte procede come sperano, gli varrà svariati premi quando arriverà la stagione degli Emmy e dei Globes.

Senza contare che di tutte le cose elencate realizzate per il cinema e la tv Ridley ne è stato quasi sempre produttore, esecutivo o meno. Figura ricoperta anche per progetti in cui non era coinvolto in prima persona, come due lungometraggi tra i migliori del cinema americano degli ultimi anni, ovvero Bobby di Emilio Estevez e Il fuoco della vendetta di Scott Cooper, a riprova della sensibilità e dell’acume con cui affronta ogni sfida creativa e professionale.

Alla scoperta di John Ridley oscar

Come ciliegina sulla torta mancherebbe un suo ritorno al romanzo, ma prima o poi accadrà, almeno stando a qualche sua dichiarazione.

Quello che sarebbe veramente auspicabile è che qualcuno si decida a ristampare i quattro romanzi editi in passato qui in Italia e perché no a tradurre i tre rimasti inediti e che qualche festival cinematografico inviti Mr. Ridley nel belpaese. Per quello letterario so già chi ci penserà, come sempre in esclusiva.

Che poi oh, magari salta fuori che è bravo a scrivere ma di persona è uno stronzo… questo non lo sappiamo… chissà. Per il momento godetevi i consigli del vostro sito preferito e andate a colpo sicuro, a caccia per le bancarelle dell’usato, in qualche sparuta quanto eroica videoteca che ancora resiste o sui Torrent… insomma stanate quanto di buono quest’uomo ha prodotto finora. E mi saprete dire.

Magari proprio alla prossima SugarCon… Se poi non sarete affatto d’accordo con me, in quel caso pigliatevela con Falciani, ché la scimmia me l’ha fatta venire lui!

Buone letture, buone visioni.