Cronache dal TIFF, Transilvania International Film Festival, un reportage di Matteo Strukul per SugarDAILY, il blog di Sugarpulp
Il TIFF (Transilvania International Film Festival) è una manifestazione pazzesca: selezione dei film da urlo, location mozzafiato, sale cinematografiche dalle architetture sorprendenti, e tutto inserito in un’atmosfera giovane, ultra-friendly e pop. Roba da lasciare estatici. In una parola: imperdibile!
Primo giorno: venerdì 5 giugno 2015
Diciamolo subito, tanto per non cadere in fraintendimenti: il TIFF (Transilvania International Film Festival) è sicuramente uno degli eventi più cool a livello europeo per quanto riguarda il cinema. Fine della storia. Non lo dico perché la città di Cluj Napoca spacca, né perché quando arrivi – come giornalista o blogger accreditato – ti danno un pass con accesso illimitato alle proiezioni, regalandoti una magnifica borsa omaggio, carica-batterie portatile logato HBO, cappellino, e altri mille gadget meravigliosi, e nemmeno perché ti donano favolose magliette appena bevi una SILVA, la strepitosa birra dark Transilvana…
No non per tutto questo, anche se essere coccolati, parliamoci chiaro, fa sempre piacere: quello che fa la differenza è proprio l’atmosfera ultra-friendly, quel senso di divertimento e relax che ammanta come un aroma speziato e delizioso l’intera manifestazione, la bellezza stordente delle architetture gotico-dark della città, un mix di antico e romantico che ti fa sentire a casa quasi fossi cresciuto in una terra come questa. Non mi riferisco solo alla gentilezza disarmante degli organizzatori ma proprio al mood del Festival, concentrato nel centro storico – da urlo – della città, con migliaia di persone, le birrerie – una più bella dell’altra – e le centinaia di locali e club sparsi ovunque. E poi naturalmente ci sono i film. Già, ce n’è davvero per tutti i gusti.
Perciò, venerdì 5 giugno, abbiamo ricavato una sorta di percorso western alternativo fra le tante pellicole proiettate fra l’Army House o Circolo Militare, il Cinema Victoria, l’Arta”, il Florin Piersic e i tanti altri sparsi per la città e ci siamo gettati a capofitto nell’avventura, tanto per non lasciare nulla d’intentato. Raggiunta l’Army House, abbiamo guadagnato il secondo piano e ci siamo ritrovati in una sala dalle deliziose architetture neo-barocche, con seggiole in legno dalla raffinata tappezzeria color crema. A questo punto abbiamo lucidato gli occhi con le atmosfere magnetiche di Mirage di Szabolcs Hajdu, un western slovacco-ungherese ambientato nella Puszta dove le gang magiare gestiscono direttamente dalle fattorie molteplici attività criminali: riduzione in schiavitù, traffico di rifiuti, tratta di esseri umani, spaccio di stupefacenti, merci contraffatte.
In particolare, Mirage racconta la storia di Francis, interpretato da Isaac de Bankolé, già attore feticcio per Jim Jarmusch, uomo di colore in fuga che si ritrova, suo malgrado, testimone della morte di un vecchio ferroviere. L’uomo, che l’ha preso a bordo della sua littorina, si accascia sulla locomotiva per onorata vecchiaia. Ingiustamente accusato di omicidio dalla polizia locale, Francis viene liberato da un trio di balordi, che lo conducono in una fattoria sgangherata all’angolo più remoto della Puszta. E qui finisce a lavorare come schiavo per la gang.
Insomma, l’attacco è un classico, ma il resto spiazza in pieno perché Hajdu racconta una storia anti-convenzionale che pur accogliendo alcuni degli stilemi del western – lo straniero in città o nella pianura, la bella da liberare, la gang da affrontare in una spettacolare sparatoria finale – si smarca dal genere grazie a un ritmo lento con improvvise fiammate action, riflessioni esistenziali al limite della poesia, lunghi piani sequenza che celebrano la potenza visiva del paesaggio. In più c’è una denuncia del post-comunismo che ha precipitato la campagna ungherese in un silente inferno di uomini ai margini e ormai invisibili, per la gioia di criminali capaci di fondare micro-regni basati sullo sfruttamento e la violenza.
Dividendo la narrazione in capitoli che si aprono con altrettanti titoli dai disegni old fashioned, in una sorta di omaggio alla scomposizione Tarantiniana, Hajdu trasfigura così il genere in una sorta di Paprika-Western moderno e d’autore, che cattura lo spettatore attraverso soluzioni visive, e di plot, assolutamente inedite. L’applauso al termine della proiezione è davvero lungo. E meritato.
Dopo di che schizziamo di nuovo in centro, a Casa Tiff – dove ha sede l’accoglienza ospiti – e in uno spettacolare cortile interno abbiamo appena il tempo di cenare, celebrando la giornata con una seconda Silva dark e un piatto di deliziosi funghi ripieni, accompagnati da anelli fritti di cipolla. A quel punto ci alziamo da tavola e finiamo dritti in Piata Unirii per la proiezione di Slow West.
E anche qui, ancora una volta, ci spariamo in vena un film sorprendente, non prima di aver apprezzato lo spettacolo nello spettacolo, rappresentato dalla piazza superaffollata e gremita di gente che, in religioso silenzio, attende la proiezione. Venendo al film, diremo in breve che Fassbender è sempre bravo e brillante, che il plot della pellicola è tanto semplice quanto efficace ma quello che fa davvero la differenza è soprattutto l’intelligenza del regista John Maclean che gioca su intermezzi e tempi morti del western quasi i dialoghi e il viaggio per giungere alla meta fossero più importanti della meta stessa.
Ed è proprio il rapporto che si crea fra Silas (Michael Fassbender) – avventuriero-pistolero – e il giovane aristocratico Jay Cavendish, interpretato da un formidabile Kodi Smit-McPhee, a tenere lo spettatore incollato allo schermo. Anche qui ci sono tutti i clichè del western classico ma la miscela in cui vengono infilati, con accenti da commedia umana alla William Saroyan, spiazzano e rendono memorabili i personaggi proprio attraverso le contraddizioni, le colpe, gli errori, talvolta fatali e imperdonabili, talaltra sfortunati ma non per questo meno definitivi. Terminato il film sulle amare note finali, è bello rimettersi in piedi in una piazza con almeno un migliaio di persone sotto la cattedrale di San Michele e la grande statua equestre di Mattia Corvino.
Il gigantesco schermo si spegne sui titoli di coda, pronto a riaccendersi il giorno successivo per quello che è in assoluto uno degli appuntamenti culturali da non mancare in Europa. Non lo dico per piaggeria o gratitudine ma proprio perché non esiste qualcosa del genere: nei prossimi giorni vi spiegherò perché. Un consiglio: tenetevi qualche giorno libero nella prima settimana di giugno 2016 perché il volo per Cluj costa meno di cento euro, una notte in un albergo magnifico non più di cinquanta e la città è un autentico gioiello, perciò mancare un appuntamento come il TIFF è davvero puro masochismo. Continua…