Dopo il lampo biancoTitolo: Dopo il lampo bianco.
Autore:
Silvio Bernelli.
Editore:
 AgenziaX
PP: 
144
Euro: 11,90.

 

 

 

 

 

 

“Scrivere è sempre sopravvivere e sopravvivere è sempre scrivere, e in questo cerchio è racchiusa ogni esperienza dell’uomo che scrive” (Dopo il lampo bianco, p.87).

“Dopo il lampo bianco” è una lettura che scuote. E scuotere è un bene: significa che ciò che hai letto ti ha lasciato addosso una traccia. Magari una traccia sfuggente, una sensazione indefinita, ma qualcosa ti è stato mostrato. Hai percepito una piccola rivelazione.

Hai sentito – sotto altre forme – che il libro parlava di te. Di te essere fragile e fallibile, che ti credi invulnerabile fino a che accade qualcosa, che ti fa capire come l’esistenza di tutti noi sia appesa ad un filo sottile, comandato non si sa bene da chi.

In questo romanzo, a cavallo tra l’autobiografia e il saggio, Silvio Bernelli racconta la sua disavventura in Thailandia, quando un camion lo ha ancorato sotto alle ruote gemelle, mentre pedalava sulla mountain bike alla scoperta di un Paese ignoto, agli occhi occidentali pieno di fascino.

D’improvviso l’incubo si è intromesso nel sogno. L’incipit ce lo svela in tutta la sua ineluttabilità: “Nel primo pomeriggio dell’8 agosto 2005 mi sorpresi a guardare il mio sangue arterioso che allagava l’asfalto, in una strada che non avrei saputo ritrovare neanche su una cartina”.

Accanto all’autore c’è un quasi amico che lo accompagnerà con premura nelle ore e nei giorni successivi all’incidente. Silvio verrà trasportato all’ospedale di Ayuthaya e da lì a quello di Bangkok, dove dopo ore interminabili sarà sottoposto ad un primo intervento per salvagli la gamba. La sua vita si aggrappa a questa necessaria speranza: mantenersi tutto intero.

Il racconto autobiografico  – e con lui il ritmo della storia – viene spezzato nella sua linearità da digressioni sull’origine, la percezione e gli effetti del dolore. Intromissioni che arrivano da atleti, scrittori e psicologi che tentano di spiegare le reazioni del corpo e della mente davanti a situazioni estreme.

Questo espediente narrativo da un lato proietta il lettore dentro la storia, perché lo pone vicino al protagonista, facendogli vivere ciò che l’autore ha vissuto; dall’altro rallenta la vicenda, specie nella prima parte, rendendo l’attesta di ciò che ci aspetta quasi insopportabile. C’è il pericolo della morte ed è un pericolo che incombe, che resta in agguato, pagina dopo pagina.

Sarà solo alla fine, dopo il suo rientro in Italia, che Berselli ci rivelerà come è realmente andata dopo il lampo bianco e i fatti verranno inseriti nella prospettiva di una vita vissuta sempre appieno. Una vita che, tra le tante esperienze, lo ha visto a soli vent’anni calcare i palchi di tutto il mondo come bassista delle band hard core punk Declino e Indigesti, esperienza raccontata ne I ragazzi del Mucchio (Sironi, 2003), e protagonista di un altro disastroso incidente nell’83.

L’infortunio tailandese gli ha regalato nuove cicatrici e nuove consapevolezze da condividere con il lettore. Tra tutte quella che non si finisce mai di sopravvivere. Per questo all’aggettivo sopravvissuto preferisco quello di sopravvivente: assai più preciso nel descrivere la condizione di quelli che come me si sono trovati a correre, anche soltanto per un pugno di secondi, proprio lì, sulla linea di confine”.