Ferro e Fuoco è il romanzo della fuga e della caccia, della vendetta e del tradimento, una storia che consacra Di Monopoli come grande autore di genere

Ferro e Fuoco

Titolo: Ferro e Fuoco
Autore:
Omar Di Monopoli
Editore: Isbn
PP: 123
Prezzo: 14.00

Amici della Barbabietola da Zucchero, se per caso non avete ancora letto nulla di Omar Di Monopoli, prendete carta e penna e segnatevi questo titolo: Ferro e Fuoco edito da Isbn, la casa editrice più pop dell’intero Stivale.

Dopo Uomini e cani è infatti tornato, ancora più violento, cupo e incalzante, il western pugliese dell’originalissimo autore di Manduria. Con Ferro e Fuoco, il secondo romanzo di una trilogia western-pugliese, Omar Di Monopoli racconta il disastro morale di un’Italia impaurita, feroce e razzista.

Nel pieno di un’estate torrida e infernale, contrassegnata da terrificanti incendi dolosi, la riduzione in schiavitù degli immigrati di un campo di raccolta di pomidoro nelle campagne foggiane è scossa da un mistero: l’avvenente Mariehla, una ragazza romena scelta come amante dal boss della zona chiamato “il Pellicano”, è stata massacrata.

Ma chi può essere stato ad assassinarla? È stato forse Kazim, il turco, come tutti credono, o dietro questo omicidio si cela qualcosa di più torbido?

Ferro e Fuoco è il romanzo della fuga e della caccia, della vendetta e del tradimento, una storia che consacra Di Monopoli come grande autore di genere e senza dubbio come uno dei pochissimi scrittori capaci di proporre qualcosa di veramente originale nell’asfittico panorama editoriale nazionale. E non ho nessuna paura di dirlo ad alta voce.

Finalmente uno scrittore vero, uno di quelli che hanno la narrazione nel sangue e che amano raccontare storie senza inutili ricami, senza fritti lirismi, patetiche contemplazioni dell’ombelico o solipsismi da quattro soldi.

Qui siamo di fronte ad un narratore dal talento puro e cristallino, che sa levarsi di torno quanto basta per lasciare spazio alla vera storia, nel solco della tradizione americana e dei suoi grandi narratori, da Faulkner a Lee Burke, passando per McCarthy e Crews, ai quali Di Monopoli spesso assomiglia davvero molto.

Ma quando si leggono le storie di questo autore pugliese non possono non venire in mente anche le suggestioni strettamente legate al western, con riferimenti espliciti a Sam Peckimpah e soprattutto al nostro Sergio Leone, per non parlare di quei paradigmi di genere che rimandano a memoria il mito della conquista e della frontiera.

E perché no, parallelismi con il crudo e rurale verismo di Verga, la cui incisività narrativa poggiava sull’impersonalità poetica dell’autore e sulla tragica ineluttabilità di un destino già segnato per i suoi personaggi (che in fondo, per dirla con Vicentini, è di per sé la cifra più intima del noir).

Ebbene, Ferro e Fuoco è esattamente così: una storia di violenza, di disperazione e di disperata sofferenza, un libro forte e crudo nel quale le vicende procedono in maniera serrata e coinvolgente, alternando l’italiano al dialetto locale (con dialoghi secchi e incisivi), con superbe descrizioni del territorio: tra le terre riarse del Gargano più selvaggio, più cupo, più spietato, dove i personaggi sono destinati inevitabilmente al fallimento, segnati da un destino certo e tragico, prede dei loro stessi primitivismi, della loro barbara violenza e della loro bieca ignoranza.

Ma va anche detto che si tratta di un libro fortemente connotato anche da aspetti iperbolici, votati all’esagerazione, alla gusto per la caricatura che spesso sfugge alla realtà, mostrandola deformata e mostruosa. E’ chiaro che Di Monopoli, da grande cultore del western all’italiana, è in questo senso suggestionato dall’elemento grottesco, da quell’estetica del “brutto” e da quella cifra “pulp” che paradossalmente rende affascinanti ed epiche le sue storie, sempre dipinte a tinte pesanti, con profondi contrasti e chiaroscuri che dominano ogni scena.

I temi trattati nel romanzo sono duri e forti (si pensi al neoschiavismo, alla sottomissione degli extracomunitari al sistema del caporalato, alla violenza connaturata alla cultura gretta e rurale della provincia pugliese, allo sfruttamento della prostituzione, all’ignoranza votata al crimine, et cetera), ma nonostante le problematiche sottese e portate a galla dalla sua prosa, Di Monopoli ha, a mio modo di vedere, il nobilissimo merito di non voler fare con le sue storie mera denuncia sociale, o perlomeno di non volerlo fare come suo scopo primario. Perché la sua vocazione di narratore puro è, come dicevo poc’anzi, semplicemente quella di “raccontare storie”.

E infine, me lo si lasci dire: finalmente un autore meridionale che trova il coraggio di raccontare un “certo” sud senza la necessità di ricorrere alla nauseabonda piaggeria del “politically correct”, al vittimismo e alla disonestà intellettuale che dipingono sempre il Mezzogiorno con usati stereotipi buonisti e perbenisti fatti soltanto di fastidiosi e patetici cliché, di cui, francamente, non se ne può più.

Davvero un bel libro, questo Ferro e Fuoco, un romanzo da leggere assolutamente, nell’attesa della terza opera di Omar Di Monopoli che concluderà questa trilogia western-pugliese.