Gli anagrammi di Varsavia, un thriller duro, dall’ambientazione originale nel ghetto della città.

Titolo: Gli anagrammi di VarsaviaGli anagrammi di Varsavia
Autore: Richard Zimler
Traduttore: 
Margherita Crepax
Editore: Piemme
PP: 365
Prezzo: 11 euro

Nel ghetto di Varsavia, nei primi anni ’40, nel filo spinato che divide il ghetto dalla città, vengono ritrovati i cadaveri di alcuni bambini, tutti mutilati. Adam è privo della gamba destra, amputata. Anna è senza la mano destra. E un altro bambino viene ritrovato morto, privo di una parte di pelle, che gli è stata asportata.

Un orrore nell’orrore. Un omicida seriale che si muove nel ghetto, dove la vita sembra non valere più nulla. Ma non per Erik Cohen, prozio di Adam (uno dei primi bambini uccisi) ed ex psichiatra, nella vita libera, prima del nazismo.

Erik inizia a indagare sulla morte del nipote e su quelle degli altri ragazzi. Non solo per l’affetto che lo legava ad Adam, ma anche perché si sente in colpa per la sua morte, avendogli dato il permesso di uscire proprio la sera della scomparsa.

E l’indagine sarà oltremodo difficile, perché la pista conduce fuori dal ghetto, dove gli ebrei non possono avventurarsi.

Un romanzo duro, che descrive in modo vivido e lucido la vita del ghetto di Varsavia e gli orrori del nazismo, al punto che, leggendolo, sembra di viverli di persona, grazie anche a una felicissima scrittura.

Originalissima la scelta di fondere un thriller con una tale ambientazione, che a volte prevale sulla storia principale. Se c’è infatti un difetto in questo splendido e toccante romanzo, è proprio quello di oscurare, in parte, la trama thriller.

La soluzione del caso arriverà grazie ad alcuni indizi lasciati sui cadaveri dei bambini (gli “anagrammi” del titolo), e il lettore attento (e poliglotta) potrebbe addirittura essere in grado di risolvere da solo l’enigma.

“Mentre scavalcavo il morto, ebbi la certezza che il nostro sangue non avrebbe mai potuto essere cancellato del tutto dalle strade delle città polacche, grandi o piccole, nemmeno se avesse piovuto giorno e notte per mille anni”.

Così si esprime il protagonista, nell’attraversare l’orrore dell’Olocausto. Si dovrebbe imparare, dalla storia e dalle nefandezze del passato. Invece, più di settant’anni dopo, i ghetti, come quello di Varsavia, ci sono ancora.

Non sono materiali, né sono circondati da mura di mattoni o da filo spinato, come a Varsavia, ma hanno mura e filo spinato invisibili. E altrettanto invalicabili. Chissà se qualcuno di coloro che ha contribuito a erigere queste mura invisibili ha letto o leggerà questo romanzo.

Potrebbe essergli utile e farlo riflettere, sia che si tratti di discendenti delle vittime o dei carnefici di allora.