Go Lakers! (un post pieno di banali verità), un nuovo articolo dalla California di Giacomo Brunoro per Sugarpulp Magazine.

Non sono mai stato un appassionato di basket. Ricordo di aver seguito soltanto le finali tra i Bulls e Utah nel ’98 vista di notte con gli amici in Erasmus, la splendida avventura olimpica degli azzurri ad Atene 2004, le mitiche partite tra i Los Angeles Lakers e i Boston Celtics viste negli anni’80 in una scarsissima tv in bianco e nero. Per un paio di generazioni Lakers e Celtics hanno rappresentato il Basket, e non importa quanto ti piacesse quello sport o quanto ne capissi effettivamente, c’erano loro e basta. Erano gli anni ’80 e le sfide tra quelle due squadre sono diventate un’icona pop generazionale.

All’epoca mi piacevano più i Celtics, forse solo perché tutti tenevano i Lakers. Larry Bird e soci avevano più la faccia da figli di puttana, sembravano decisamente più rock. Tutto questo per dire che ieri sera siamo andati allo Staples Center a veder i Lakers contro i Warriors. Cazzofigata, c’è davvero ben poco da dire. I Lakers hanno rimediato una bella macinata, cose che capitano, ma quello che ti lascia sbalordito è lo show in cui ti ritrovi catapultato. Avrete letto o sentito millemila volte le solite banalità sullo org USA, sul divertimento, sul fatto che non ci sia violenza, che sia pieno di famiglie, ecc. ecc. Bene, è tutto vero. Anzi, è molto di più. Lo Staples center era pieno ma, a parte il controllo con il metal detector tipo aeroporto all’entrata non ho visto nemmeno un poliziotto.

Una festa enorme per tutti, uno show di puro divertimento che fa quasi passare lo sport in secondo piano. Tantissime famiglie anche con bambini piccoli, nessun problema fuori dallo stadio. Tanta goliardia sugli spalti, con sfottò e prese per il culo sorridenti agli avversari. Chiunque abbia frequentato un qualsiasi stadio italiano in qualsiasi serie sa che sto parlando di pura fantascienza. E non c’entra che quella di ieri fosse un’amichevole, perché ricordo n ora le cariche prive di qualsiasi senso degli ultras durante Italia-Uruguay a San Siro, amichevole pre-mondiale del 2002. Da noi respiri la frustrazione e la cattiveria anche durante le amichevoli, con questa massa di subumani frustrati che riescono solo a rovinare tutto quello che toccano.

Quello che mi lascia basito poi è che le società non si rendano conto che un modello di sport come quello proposto negli USA fa guadagnare molto di più: arrivi allo stadio sereno, mangi dentro, compri qualche stronzata tipo il ditone di gommapiuma a 10 dollari, ti fai due birre e ti diverti (sì, vendono alcolici durante la partita mentre da noi militarizzano mezza città impedendo ai bar limitrofi allo stadio di vendere birre).

Cari dirigenti sportivi italiani, se non ci arrivate da un punto di vista culturale perché siete ancora convinti di aver bisogno degli ultras (sic!), provate a ragionar in termini di fatturato e magari vi renderete conto che un ambiente merdoso e avvelenato come quello del calcio italiano non serve a nessuno se non agli imbecilli che devono sfogare la pochezza e la frustrazione di una vita spesa nel nulla. Anche perché fare festa sugli spalti non significa un tifo blando o smorzato: anche se eravamo off season lo Staples Center era una bolgia, potevi percepire chiaramente l’emozione del pubblico, l’orgoglio di essere lì a tifare per la loro squadra. Poi pensi alle nostre curve, ai nostri stadi, allo qualità della dirigenza sportiva italiana e capisci che #cimeritiamotutto.