Il caso sbagliato, il primo romanzo pulp di James Crumley letto da Andrea Pelfini per Sugarpulp
Titolo: Il caso sbagliato
Autore:James Crumley
PP: 363
Editore: Einaudi Stile Libero-Noir (Trad. Luca Conti)
Prezzo: 17,50 euro
Troppo spesso qualche sedicente fine intellettuale nel momento in cui apprende la nostra passione per il noir, il pulp e l’hard boiled storce il naso e inizia a guardarci come dei minus habens.
Cosa ci può essere di interessante in ammazzamenti vari, furtarelli e sparatorie? Cosa si può dire dell’Uomo, della natura umana, della società o di chissà cos’altro con questo genere di letteratura che altro non è, secondo loro, che mero intrattenimento da terza fascia?
Sicuramente queste persone, questi sciuri professoroni, non conosco James Crumley.
In ogni recensione cerco di mettere in evidenza il non scritto, il messaggio, più o meno velato, che lo scrittore ha cercato di trasmettere con la sua opera. Ho scritto e riscrivo: SCRITTORE.
Chi pratica il noir non è semplicemente un narratore, un povero alcolizzato che per sbarcare il lunario butta già duecento pagine di cazzate varie ed eventuali. Per chi non se ne fosse ancora accorto siamo andati molto al di là di Agatha Christie e dell’inevitabile maggiordomo assassino.
Il noir, lungo la sua secolare storia, si è trasformato da semplice racconto del mistero capace di stimolare la curiosità e la fantasia di chi legge attraverso intrighi e indovinelli, una sorta di gioco di furbizia tra scrittore e lettore, in pretesto per raccontare la società che ci circonda – si veda, tanto per fare un paio di esempi, Un sudario non ha tasche di Horace McCoy del 1937 e Corri, uomo, corri! di Chester Himes del 1966 – oppure per cercare di sviscerare gli incubi, le inquietudini, le navigazioni di profondità dell’animo umano.
È in quest’ultimo insieme che, ad esempio, si colloca uno dei migliori romanzi della prima metà del 2009, Vedi di non morire di Josh Bazell. Bazell, però, non è figlio di sé stesso, bensì ha alle spalle illustri predecessori tra i quali spicca James Crumley.
Crumley, con il suo secondo romanzo – Il caso sbagliato – ma primo della sua fortunata carriera di romanziere noir, cambia le carte in tavola, il mistero nudo e crudo rimane nell’ordito della trama, ma ciò che acquista sempre maggiore rilevanza è il personaggio stesso, il protagonista, che non si limita più ad essere un superdetective da far invidia al Ris di Parma o ai minchioni di CSI, ma parla di sé stesso, delle sue paure, della sua solitudine, del suo sconforto.
Tutto ciò, inoltre, continua poi a muoversi su uno sfondo sociale in costante mutamento: qui, ad esempio, il protagonista Milton Chester Milodragovitch terzo, deve affrontare gli anni Settanta che negli Stati Uniti d’America vedono le strade invase dall’eroina, una piaga che inizierà a mietere vittime senza troppo badare alla loro estrazione sociale.
Il caso sbagliato, non a caso, è stato scritto in piena bufera. Era il 1975. La trama è a suo modo semplice e senza grosse impennate: una bonazza dai capelli rossi entra nello studio del nostro detective chiedendogli di ritrovare il suo fratellino.
Milo non ne capisce un cazzo di queste cose, ha passato la sua carriera a correre dietro ad adultere e casalinghe in calore, ma questa rossa è proprio bona e lui non ci mette molto a capire che ne potrebbe venire fuori una bella scopata. E accetta l’incarico.
Le oltre 300 pagine scorrono lineari tra sbronze e dialoghi urticanti, lo spazio riservato al mistero e all’hard boiled vero è proprio è ridotto al minimo, quello che sembra aver interessato maggiormente
Crumley è stata la narrazione di un’epoca, del mondo devastato dalla microcriminalità e dall’eroina di una media cittadina americana, l’immaginaria Meriwether.
E poi lo scorrere senza senso della vita di Milodragovitch, un loser perennemente ubriaco e detective fallito. Il caso sbagliato non è probabilmente il miglior romanzo di Crumley, così come difficilmente lo possono essere delle opere prime, dimostrando tra le righe i segni tanto di una ingenua immaturità – per quel che riguarda la scrittura di un genere come l’hard boiled -, quanto, però, quelli di potenzialità insuperabili in grado di far scolpire il suo nome nell’Olimpo degli immortali di questo genere e, a dispetto dei fini intellettuali di cui dicevamo sopra, della letteratura.
Non a caso tre anni dopo, nel 1978, verrà pubblicato L’ultimo vero bacio, da tutti riconosciuto come il suo autentico capolavoro.