Italia Criminale, ovvero come buttare via 352 pagine in poche righe. Peccato perché si tratta di un bel libro, a metà tra saggio e romanzo

Italia Criminale. Dalla banda della Magliana a Felice Maniero e la Mala del BrentaTitolo: Italia Criminale
Autore: Cristiano Armati
Editore: Newton Compton
PP: 352
Prezzo: euro 9.00 cartaceo, euro 3.49 ebook

La recensione che presento oggi è un po’ anomala. Un po’ controcorrente, forse. Racconto un libro, certo. Ma come nelle migliori tradizioni dell’arte del feedback, vorrei portarne alla luce i punti di forza ma anche le aree di miglioramento (ad usare questi termini mi sento molto manager del XXI secolo…)

Italia Criminale è un bel libro: a cavallo tra narrativa e romanzo, ci racconta tutte le vicende a tinte fosche che hanno rivoluzionato la storia del nostro paese in chiave, appunto, criminale.

Parte da vicende che ormai hanno assunto un’aurea quasi romantica: dal bandito Giuliano, ad esempio, passa per la banda della Comasina e il Bel Renè. Ci racconta di personaggi che a quelli della mia età appaiono quasi mostri mitologici: Epaminonda detto “l Tebano, Francis Turatello… per poi arrivare ai tempi più recenti con l’ormai celebrata Banda della Magliana e chiudere col botto raccontando Felice Maniero e la Mala del Brenta.

La scrittura è buona, scorrevole. L’autore documentato, cita fonti autorevoli. Un buon lavoro, davvero. Fino a pagina 314, dove Armati se ne esce con una “perla” che ha il potere di invalidare quanto di buono scritto fino a quel momento.

Cito: I soldi di Maniero, infatti, non sono finiti tutti in donne, macchine veloci e locali di classe. I proventi giganteschi dell’economia criminale della mafia del Brenta si sono fusi con l’economia legale del Veneto contribuendo in maniera decisiva al suo sviluppo. Dietro Maniero che punta la pistola sulla faccia di una vittima e fa fuoco ci sono piccoli eserciti di insospettabili e onesti imprenditori che hanno usato le loro aziende per dare al bandito la copertura finanziaria di cui ha avuto bisogno. Anche grazie a questo sono nati dei profitti che, reinvestiti nel tessuto produttivo, hanno consentito alle aziende del nordest di tenere bassi i prezzi dei propri manufatti, di controllare i costi della manodopera e, di conseguenza, di continuare a rimanere sul mercato.

Ora, a mio avviso è necessario analizzare queste parole discernendo un profondo istinto campanilistico da quello che è uno sguardo un po’ più freddo. Per fare questo sono necessarie alcune premesse, a mio avviso, forse trascurate dall’autore.

Cominciamo con il dire che se l’equazione “criminalità organizzata-sviluppo economico” funzionasse, l’Italia sarebbe una delle superpotenze mondiali. Stando a dati oggettivi, e non a considerazioni da trattoria, alcune regioni italiane darebbero anni luce alla Silicon Valley, ad esempio.

In secondo luogo, è risaputo, sempre guardando i numeri, che il modello mafioso si insinua dove c’è ricchezza. E non la crea. Prova ne sia, ad esempio, che la ‘ndrangheta è una delle mafie più potenti al mondo, e in Calabria non investe un euro.

Ancora: la Mala del Brenta (attenzione a chiamarla “mafia”… anche i giudici hanno fatto fatica, nel corso del processo Rialto ad inquadrare il fenomeno: pochi legami politici e nessun rito di affiliazione; più facile parlare di banda criminale organizzata) si muoveva prevalentemente (non solo, ma più spiccatamente) tra Venezia e provincia (con le famiglie Rizzi a Venezia e la banda dei mestrini in terraferma) e Padova e provincia (zona del Brenta, appunto).

Il boom del nordest, solo per fare qualche esempio, ha riguardato anche altre realtà: giusto per citare (e pesco a caso) l’abbigliamento e gli scarponi nel trevigiano, l’ottica nel bellunese, i mobili nel pordenonese, le sedie nell’udinese… ecco, se il potere di Maniero fosse veramente quello attribuitogli dall’autore, sarebbe da nominare immediatamente Ministro dello Sviluppo Economico. E non mi si dica che il curriculum ne impedirebbe l’ingresso in politica…

Parliamo poi di riciclaggio? Anni settanta-ottanta-novanta. Il Veneto è una terra di lavoratori un po’ bigotti. Gente che viaggia a testa bassa e che, con le porcherie, vuole avere poco a che fare. Il braccio destro di Maniero, uno dei Maritan, sta a San Donà di Piave. Dove passa la la A4 Venezia-Trieste. Che, guarda caso, finisce sul confine dell’ultimo paese prima del blocco sovietico: la Jugoslavia.

Uno stato, ricordo, non aderente alla Nato ma nemmeno al Patto di Varsavia. Socialista, con un debito pubblico devastante che porterà alla guerra, governato da forze non proprio limpide. Dove riciclo i soldi? Tra i bigotti o faccio 200 km e li faccio sparire tipo… a Portorose? Giusto per fare un esempio, ancora una volta.

L’economia del nord est ha beneficiato della mala del Brenta? In che termini, Signor Armati? Nel senso che Maniero rubava soldi al Casinò di Venezia? O oro all’aeroporto? O, forse, come sviluppo economico intendiamo le mance che Felicetto distribuiva a qualche concittadino che gli nascondeva un’auto rubata pronta per una rapina?

Forse è un po’ da rivedere il concetto di sviluppo economico, Signor Armati.

Tutto ciò per dire, in fondo solo due cose. La prima: ci sono dei fenomeni criminali, nel nostro paese, che oggi sono stati talmente analizzati e sviscerati che è quasi possibili leggerli dal di fuori solo documentandosi. Ce ne sono altri che, a distanza di dieci anni e di settecento km, sono un attimino più complessi. I paradigmi, in ambito criminale, hanno poco valore. Soprattutto in una realtà così varia com’è l’Italia.

La seconda: considerazioni di questo tipo, oltre a rappresentare un falso storico, sono per le meno offensive per tutte le persone che negli ultimi trent’anni, a nord est, hanno sacrificato venti ore al giorno, famiglie, tempo libero e qualità della vita per portare avanti un miracolo economico che non ha eguali in giro per il mondo. Lo hanno fatto guadagnandoci, sia chiaro! Dal primo imprenditore all’ultimo operaio.

Ma lo hanno fatto sputando sangue. Soprattutto in una terra, com’era quella di Felice Maniero, dove si diceva te pianti fasioi e i spunta deinquenti. Ecco, a loro va il mio pensiero leggendo quelle poche righe a pagina 314. A chi il nord est l’ha vissuto fino all’ultimo respiro. E non merita di vedersi etichettato come un connivente che è cresciuto sulle spalle di un ristretto gruppo di criminali.

Questo è quanto. Per riassumere Italia Criminale di Cristiano Armati, una sola parola: peccato.

VOTO: 2 Barbabietole su 5