I libri si fanno sempre in due, chi li scrive e chi li legge, un articolo di Carlo Vanin.

Sono passati anni da quando Matteo Righetto mi disse per la prima volta “I libri si fanno sempre in due, chi li scrive e chi li legge”. Sono passati anni, ed ogni anno che passa sono sempre più convinto della granitica fondatezza di questo assunto.

I pregiudizi sono parte integrante dell’essere umano, sono probabilmente quelli che ci hanno impedito di estinguerci di fronte a bacche di colori “strani”(quando stavamo tutti nelle grotte, si mangiava carne cruda e non ci si puliva il culo, tanto per capirci… lo so qualcuno sta pensando “bei tempi quelli!”).

Insomma, il pregiudizio come schema mentale sicuramente ha avuto una qualche utilità storica, e quando affermo ciò sicuramente non mi riferisco alle centinaia di milioni di vittime che ha mietuto nel corso della Storia (caccia alle streghe, schiavismo, pregiudizi razziali, guerre di religione, guerre razziali, campi di sterminio di vario tipo).

Ma il pregiudizio cui mi riferisco è qualcosa di sicuramente più leggero, più innocuo, ma comunque bastevolmente imbecille (in senso etimologico, colui che è privo di bacùlum, di bastone, di appoggio, quindi si trova in difficoltà), che arranca .

Quel pregiudizio diffuso, specialmente presso taluni frequentatori (a vario titolo) di librerie, secondo cui la narrativa d’azione ha la valenza culturale di una confezione di merendine. Quei soggetti che se un libro non contiene almeno i temi: del viaggio, della crescita, dell’analisi interiore (centinaia e centinaia di pagine di analisi interiore), sofferenza (terribile e straziante) interiore di fronte a scelte di vita (Colgate o Oral-B?) la perdita e la rinascita, ecco se non contiene almeno questi temi, non indulge in centinaia di pagine, non tenta di dare un senso all’amore alla vita o alla crescita, è un libro di merda che va bruciato appena stampato, poi va bruciata la tipografia e mettiamo sotto chiave l’editore mentre prepariamo la Pira.

Sì, ok, ho esagerato, ma era per rendere l’idea. Era per riferirmi a quella categoria di lettori ( e non solo) secondo cui la narrativa o è “ impegnata” o non è, e se per avventura è, comunque non vale un cazzo. In merito la linea di Sugarpulp è nota e sicuramente non serve che io la riesponga.

Ci tengo però a ricordare che come mi disse Matteo Righetto “I libri si fanno sempre in due, chi li scrive e chi li legge”, quindi caro frequentatore a vario titolo della libreria, se non riesci a cogliere la denuncia sociale nei libri di Lansdale, l’epifanica analisi ontologica sull’agire umano che scaturisce dai libri di Willocks, la potenza dell’affresco esegetico del Nord-est che affiora potente nei libri di Righetto e Strukul, beh, forse, mio caro Frequentatore-a-vari-titolo-della-libreria due domande è il caso che tu te le ponga, e non riguardano gli spazzolini da denti.