La vera storia dei Peaky Blinders, la recensione di Matteo Marchisio del romanzo storico di Carl Chinn.
- Titolo: La vera storia dei Peaky Blinders
- Autore: Carl Chinn
- Editore: Sperling & Kupfer
- PP: 256
Chiunque abbia visto anche solo una puntata di Peaky Blinders, la serie dedicata a una banda di allibratori inglesi degli anni ’20, ha pensato di farsi il taglio di capelli del protagonista, il boss Tommy Shalby, intrepretato da Cillian Murphy. Quello di primo acchito.
In seconda battuta il dubbio è stato quasi certamente legato al chiedersi se una banda del genere possa essere esistita o si tratti dell’ennesima variazione sul tema mafioso-criminale dal grugno insanguinato ma il cuore buono.
La risposta perfetta a questa domanda arriva dal romanzo intitolato come la banda protagonista dell’omonoma serie TV.
Il romanzo
La vera storia di Peaky Blinders, edito in Italia da Sperling & Kupfer, offre una ricostruzione storica precisa, minuziosa mai noiosa della banda che terrorizzò Birmigham, come se a raccontarla fosse un vecchio zio, nel cuore della notte, in un angolo di un pub, birra alla mano, pioggia battente fuori.
Carl Chinn precisa fin da subito che le informazioni sono un mix di parti della sua tesi di dottorato e ricordi di famiglia. Non nascondendo trisavoli legati alla piccola criminalità locale, la storia della sua genealogia comincia con il nonno, bookmaker illegale, praticamente un Peaky Blinders.
Il padre ereditò il mestiere, aprendo una bisca legalizzata in cui l’autore ha lavorato da ragazzo, entrando in contatto con il mondo delle scommesse.
Insomma, si mette bene in chiaro quanto il lavoro sia scritto con il piglio dello studioso, Carl Chinn è stato insignito dell’Ordine dell’Impero per il suo impegno nel divulgare la storia locale, ma anche con la profondità di comprensione di chi con quel genere di storia ha convissuto. A parlare è uno del giro, insomma.
Una saga famigliare
Grazie a parentele, amici e ricordi di nonni e zii Chinn spiega che è riuscito a intervistare vari personaggi dell’epoca ancora in vita, come Simeon Solomon, fratello dell’Alfie Solomon che fa capolino nella serie TV, per poter aggiungere dettagli fino ad oggi rimasti nel dimenticatoio.
Dall’unione di storie di famiglia, analisi di dossier di polizia e fonti classiche emerge la vera storia della gang che terrorizzò Birmingham da metà ‘800 agli anni Quaranta.
Peaky Blinders era il termine con cui vennero chiamate le bande di criminali attive Inghilterra. Tra queste, una delle più aggressive era quella che faceva capo alla famiglia Shelby nella zona di Birmingham: allibratori, teppisti, tagliagole e ladruncoli patentati.
La maggior parte dei membri erano operai invischiati in piccoli crimini più che macchinazioni organizzate come nella serie TV e si distinguevano per la violenza esagerata nel condurre i loro affari, che per acume imprenditoriale.
I Peaky Blinders furono gli eredi spirituali delle accozzaglie di pezzenti armati di coltelli, fibbie di cinture e bastoni di dickensiana memoria definite slogging gang, ovvero bande di picchiatori, nomignolo inventato dalla stampa dell’epoca intorno al 1872.
Le radici dei Peaky Blinders
Gli hinterland operai di Birmingham ospitavano bande del genere dal XIX secolo, in seguito alla volontà di riportare legalità in zone fortemente depresse: la polizia aveva aumentato la violenza, facendo compattare il fronte criminale in un unico mostro, dal ‘900 in poi riconosciuto con il termine generico di Peaky Blinders.
Il termine Peaky Blinders deriva dall’uso di lame nascoste nelle falde dei copricapi (peak) per accecare (blinding) brutalmente gli avversi durante gli scontri, riflette bene lo stile poco onorevole delle aggressioni di contorno a scippi, estorsioni e contrabbando.
La ricerca di un’esistenza migliore è alla base dell’attività di questa galassia di pendagli da forca, ma l’emancipazione dai quartieri poverissimi della cosiddetta black country, il bacino carbonifero di Birmingham, non poteva essere una scalata priva di sangue, vendette e regolamenti di conti, tanto che l’attività dei Peaky Blinders costò alla città di Birminghman la medaglia di città più violenta della Gran Bretagna.
Durante la lettura si sostituiscono ai look attillati, elegantissimi della serie TV che tutti hanno in mente, le immagini dei veri Blinders: avanzi di galera con pantaloni a zampa ricuciti milioni di volte, scarponi chiodati, cinture di cuoio, bombette rovinata appoggiata su crani rasati.
Bande così temute furono, almeno fino agli anni ’40, l’incubo della polizia locale, nonostante pattugliasse gli slums operai in coppia e solo in determinate ore della giornata.
Man mano che il romanzo procede grazie a dossier, analisi di documenti d’inchiesta, rimandi a quotidiani d’epoca e fonti d’archivio accuratamente riportate, si manifesta lo scopo dell’autore: celebrare la resistenza e la voglia di sopravvivere delle persone comuni che convissero con elementi per cui la violenza esagerata era l’unica forma di comunicazione, ad anni luce da qualsiasi concetto di lealtà e rispetto.
Peaky Blinders di Carl Chinn rende onore a quanto è storia con un romanzo storico divulgativo, facile e strutturato: i Blinders furono teppisti sanguinari e senza scrupoli, lontani dall’aura di furfanti d’onore di cui il mito popolare li ha rivestiti nei decenni.