Profiling ci mostra una dimensione realisticamente quotidiana del male, della violenza insita nelle relazioni più comuni e sempre pronta a esplodere in ogni essere umano

Chloé Saint-Lauren è una psicologa comportamentale che collabora con la squadra anticrimine di Parigi, personalità sui generis, una quasi nerd nei confronti della vita quotidiana, con abitudini e atteggiamenti stravaganti.

E’ stata inserita nella squadra diretta dal detective Perac dal commissario Lamarck, suo padre adottivo dopo che nell’infanzia la ragazza ha vissuto un episodio familiare particolarmente traumatico (che verrà svelato nel corso della prima serie e avrà conseguenze nella seconda).

Profiling: la quotidianità del male

Fino a qui niente di nuovo sul fronte della crime fiction che inonda gli schermi televisivi: personaggio fuori dagli schemi, inizialmente accolta con diffidenza dai membri della squadra con la quale deve collaborare, all’interno della quale si erge il personaggio del pratico e concreto detective, in contrapposizione al personaggio della protagonista.

La caratteristica principale che contraddistingue la serie tv francese “Profiling” dagli altri prodotti televisivi di genere poliziesco è da riscontrarsi nei soggetti delle storie narrate all’interno dei singoli episodi: tutte le storie prendono spunto da episodi quotidiani di cronaca nera avvenuti in tempi recenti, motivo per il quale troviamo nei soggetti trattati storie di famiglie, persone e situazioni quotidiane, lontane dalle tipiche figure dei serial-killer, dei terroristi o dei consueti personaggi appartenenti al mondo della criminalità.

Profiling: la quotidianità del male

Una caratteristica ben evidenziata e resa magistralmente attraverso la drammatizzazione delle vicende narrate, sin dal punto di vista adottato dalla protagonista principale nell’immergersi in ogni caso a cui lavora: utilizzando una personale empatia tanto con le vittime che con gli assassini, Chloé Saint-Lauren, immedesimandosi nella vittima dal punto di vista psicologico, riesce a indagare nelle dinamiche relazionali che ne costituivano la vita quotidiana, arrivando cosi a comprendere le cause e le motivazioni che hanno portato all’evento delittuoso.

Ed è proprio questa dimensione realisticamente quotidiana del male, della violenza insita nei rapporti umani più comuni e sempre pronta a esplodere in ogni essere umano, quest’aria di normalità del male che caratterizza ogni episodio di Profiling a fare di questa serie un esempio di un nuovo, possibile, realismo televisivo in cui un prodotto di evasione narrativa presenta in maniera plausibile un approfondimento psicologico e un realismo sociale calati in una solida struttura di genere, in questo caso quella del telefilm poliziesco.

Tenendo il passo con le nuove istanze narrative delle serie televisive, nelle quali pur essendo ogni singolo episodio autoconclusivo è presente altresì un’ulteriore vicenda tematica legata ai protagonisti principali che si sviluppa nel corso dei vari episodi, Profiling mostra, anche in questa ottica, un paio di trovate narrative tutt’altro che scontate, come quella legata al cambio del detective nel passaggio dalla seconda alla terza stagione, dove entrerà in campo la figura del duro, scorbutico e misantropo detective Rocher.

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