Brutale, violento, disturbante, efferato: tutto in Sons of Anarchy gronda sangue e rabbia, corruzione e criminalità e tutto è senza limiti.

Tragedia e Anarchia

C’è un blurb – cioè una di quelle brevi frasi promozionali tanto care ai bad boyz a stelle e strisce – sul cofanetto di Sons of Anarchy.

Fa capolino sulla cover e recita: Brutal but Brilliant! Sono tre piccole parole, ma centrano in pieno il bersaglio: Brutale ma Brillante.

Brutale, violento, disturbante, efferato: tutto in SoA gronda sangue e rabbia, corruzione e criminalità e tutto è senza limiti. Perché i protagonisti, gli eroi di una delle più belle serie TV di sempre, sono i bikers fuorilegge di una gang di stanza a Charming, California.

Sons of Anarchy

Gente a cui è meglio girare molto al largo se non vuoi ritrovarti con il cranio sfondato e quindici centimetri di acciaio nelle viscere.

SAMCRO: The Sons of Anarchy Motorcycle Club, Redwood Original, giusto per essere precisi.

Ma cosa rende una delle serie TV, fra le più feroci mai viste, un’assoluta meraviglia per tutti coloro che qui a Sugarpulp amano il genere? Proveremo a spiegarlo, ma non sarà semplice. Le ragioni sono tantissime.

Tanto per cominciare, dobbiamo dire che tutto gira a mille in SoA: a partire dalla storia. Perché, ragazzi, comunque la vogliamo mettere, se manca quella non vai da nessuna parte. E quanto a sceneggiatura Kurt Sutter, già produttore di THE SHIELD, si rivela uno scrittore pazzesco.

Immaginate una versione in acido dell’Amleto di Shakespeare. Prendete un eroe e fatelo diventare un angelo caduto all’inferno, regalategli un passato annegato nella tragedia e nel non detto, dategli un diario in cui possa leggere del padre perduto e un patrigno che sa molto più di quello che dice.

E se quel patrigno fosse il capo di una gang di motociclisti? E se la madre dell’eroe fosse oggi la donna del capo? E se l’eroe fosse il successore di sangue nella linea diretta che porta alla corona del club? Non è questo il più antico degli escamotage per dare inizio a una tragedia annunciata e dunque al più classico dei noir? E SoA sputa noir e crime fiction e pulp fin dalle prime sequenze d’apertura.

Sons of Anarchy

Ma non è certo il più classico degli schemi a rappresentare l’incredibile qualità di una serie TV come questa. Anzi, quello che ti stupisce è come uno stilema tanto nobile, come quello firmato dal Bardo secoli fa, rappresenti in questo caso un retroterra culturale magnifico.

Su di esso, Kurt Sutter costruisce una formidabile saga criminale, un’epopea in cui la vita è regolata da un codice d’onore che non manca di uccidere gli innocenti e nella quale i patti fra gli uomini vengono rispettati a costo di versare sangue a fiumi.

Perché uno dei leitmotiv dell’intera serie è proprio questo: la fedeltà al chapter, alla gang, alla famiglia, costi quel che costi. E questa intima coerenza, questa fede oltre la ragione, questo giurare obbedienza alla gang è uno dei grimaldelli narrativi attraverso cui scatenare le faide fra i protagonisti e per tessere una trama di relazioni sporche e marce che inevitabilmente deflagrano in scontri e rappresaglie, vendette e tradimenti, orge di sesso e violenza estrema. Ma non era questo, in fin dei conti, il grande paradosso del Nibelungenlied?

Una fedeltà al proprio sovrano assoluta e cieca e in nome della quale arrivare anche a massacrare gli inermi? Ma come… La canzone dei Nibelunghi? Ecco ci risiamo! Già perché, indipendentemente dalla maggiore o minore intenzione di Sutter di voler omaggiare il teatro tragico di Shakespeare o l’epica germanica, quello che garantisce la bontà di una serie come SoA è la ricchezza e la solidità dell’impianto narrativo.

Sons of Anarchy

Poi è chiaro, su una simile tela Kurt Sutter sviluppa un ritmo efficacissimo, una tensione emozionale talmente intensa da risultare a tratti quasi insopportabile, una ricerca delle prospettive e dei colpi di scena che svelano una tecnica narrativa davvero formidabile, una caratterizzazione dei personaggi esemplare.

Ecco, i personaggi. Altro punto vincente. Difficile preferirne uno agli altri anche perché è tale il talento degli interpreti da lasciare di stucco. Perché Ron Pearlman è Clarence “Clay” Morrow, il capo della gang, uomo violento ma anche fragile, sanguinario ma spesso manovrato dalla diabolica Gemma Teller, una Katey Sagal in stato di grazia recitativa, al punto da guadagnarsi un Golden Globe come miglior attrice protagonista.

Lady MacBeth? Certo! E non è un voler ostinarsi a fare accademia… è solo che è proprio così. Perché l’abisso in cui sono scesi i due capi della gang – Clay e Gemma – è di tale profondità da risultare insondabile e porta dritti alle radici del male.

Ma anche così diremmo una falsità perché è pur vero che Clay e Gemma sono a loro volta vittime oltre che carnefici, datevi un occhio alla seconda stagione please, e perché da questo punto di vista un personaggio come l’agente June Stahl del Bureau of Alcohol, Tobacco, Firearms and Explosives – interpretato da una luciferina e straordinaria Ally Walker – è davvero la peggior feccia possibile e parliamo di un difensore della legge.

Così in SoA tutto è molto più complesso e sorprendente di quello che sembra. E la tragedia di Jackson “Jax” Teller, un Charlie Hunnam che torna sullo schermo con una prova d’attore maiuscola – dopo che aveva già convinto nel ruolo del giovane e cattivissimo pistolero di Ritorno a Cold Mountain alzi la mano chi se lo ricorda – è davvero solo una fra le tante che disegnano le geometrie storte e malate di Sons of Anarchy.

Sons of Anarchy

Ma poi dovremmo citare anche un pugno di co-protagonisti incredibili: su tutti l’antieroe tragico di Alex “Tig” Trager, pronto a scendere all’inferno, in nome della fede ai SAMCRO, interpretato dal canadese Kim Coates, un attore da urlo, oppure il favoloso Tommy Flanagan a dare il volto sfregiato a Filip “Chibs” Telford per uno dei protagonisti più riusciti: un biker scozzese duro ma romantico al tempo stesso.

E non possiamo non parlare delle musiche. La fortuna di essere un quasi quarantenne ad esempio, ammesso che di fortuna si possa parlare, è quella di ricordarsi che l’interprete del brano This Life – la sigla della serie – è Curtis Stigers, sassofonista e cantante patinato che nei ‘90 sfoderava brani strappalacrime e di successo con ballate come You’re all that matters to me o I wonder why e che ora si cimenta con country-blues notturni e intrisi di zolfo piazzando una voce che sembra uscire dalla cantina dell’Ade.

E che dire di rivisitazioni eleganti come la Ruby Tuesday degli Stones interpretata dalla stessa Katey Sagal? E ancora, sempre lei, a rendere una versione intensa di un altro capolavoro come Son of a preacher man incisa per la prima volta da Dustin Springfield su testo e musiche di John Hurley e Ronnie Wilkins?

E se non basta beccatevi Black Keys, Monster Magnet, Alberta Cross, Devendra Banhart, Deadstring Brothers, Marc Ford, Joan Armatrading in un cocktail anglo-americano che rappresenta un compendio azzeccatissimo di musica delle radici.

Insomma, Sons of Anarchy è la serie più spietatamente noir che vi possa capitare di vedere, una saga di drammi ineluttabili, di destini tragici e già scritti, di orrori e redenzioni che tratteggiano in maniera cupa, e però sublime, una moderna narrativa popolare perché capace di innovare il genere affondando però le proprie origini nel mito letterario.

E proprio per questo si rivela ancor più feroce e magnifica. Brutal but Brilliant, appunto!

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