Ne “Le 5 Fasi” Squaz è l’autore del terzo capitolo, quello intitolato Patteggiamento (o Autorecriminazione). Con lui prosegue la nostra intervista multipla agli autori di questo fumetto “monstre” che, personalmente, continua a stupirmi e ad emozionarmi ogni volta che lo apro (se per caso vi siete persi le precedenti interviste ad Alberto Ponticelli e a Officina Infernale le trovate qui e qui).

Prima di cominciare l’intervista diamo il solito sguardo a come l’autore ha descritto il suo modo lavorare per quest’opera straordinaria: «La tecnica da me usata è una normalissima china su carta, colorata in digitale».

Ciao Squaz, ad un anno dall’uscita che ne dici di provare a fare un bilancio di quest’esperienza editoriale?

«È stato esaltante e frustrante nello stesso tempo. Esaltante, per come è nata e si è sviluppata la collaborazione di gruppo, ed il risultato finale è stato superiore alle nostre stesse aspettative. Frustrante, forse, per le stesse ragioni. Confrontarsi continuamente con gli altri, specialmente se questi altri non sono (siamo) abitualmente campioni di equilibrio e diplomazia, mette i nervi a dura prova. Ma ne siamo usciti bene, direi. Poi è stato positivo notare che il grande formato del libro ed il prezzo relativamente alto non hanno scoraggiato i lettori. Poteva andare peggio. In generale, mi sembra che se ne sia parlato meno di quanto effettivamente meritasse. Ancora adesso, c’è gente (non gente qualsiasi, ma gente del “settore”) che non ne ha proprio sentito parlare. Distrazione? Colpa nostra che non facciamo gli uomini-sandwich? Frega qualcosa?».

Da cosa nasce l’idea di dare vita ad un progetto come “Le 5 Fasi”?

«Di questi tempi, l’idea stessa di sei autori di fumetti che decidono di lavorare insieme ad un progetto comune è piuttosto anomala. Intanto, non siamo una rock band, e poi gli anni ’60 sono passati da un pezzo, e così pure la voglia di sperimentazione. Se poi lo spunto è quello di parlare di dolore, inadeguatezza, necessità di elaborare la sofferenza e così via, è chiaro che, per risponderti, bisogna scavare nelle angosce e nelle frustrazioni di ognuno di noi. L’obiettivo era di dare vita ad un progetto potente, che avesse una sua ragione intima, e non solo fare un bel libro. Nello stesso tempo, per essere veramente convincenti, abbiamo sentito il bisogno di unire le forze. Sei persone che gridano insieme fanno più casino di uno solo, anche se è Pavarotti».

Sei soddisfatto del risultato finale del tuo lavoro o cambieresti qualcosa?

«Sono soddisfatto specialmente delle cose venute male. Cambierei sempre qualcosa, riguardando i miei lavori, ma qui è stato un po’ diverso. Ho cercato di dare il massimo, solo che non mi veniva richiesta la perfezione, ma di mettermi un po’ a nudo e di scoperchiare cose di me che non mi piacciono o che normalmente non vorrei affrontare.
Anche se non ho lavorato sull’autobiografia, c’è tantissimo di me nella storia del “patteggiamento” e quindi, se qualcosa non funziona oppure si inceppa, molto probabilmente è perché sono fatto male io».

Cosa ti ha colpito di più nel lavoro dei tuoi “compagni di viaggio” in questa avventura?

«La capacità, soprattutto da un certo punto in poi, di mettere da parte le esigenze personali e di entrare in sintonia con gli altri, quando tutto avrebbe fatto pensare che eravamo troppo diversi e male assortiti per combinare qualcosa di buono insieme. Una specie di “riscatto” collettivo. E adesso possiamo tornare a starci sulle palle, almeno per un po’».

“Le 5 Fasi” potrebbero avere un seguito? Per lo meno dal punto di vista di un progetto editoriale così particolare e complesso.

«L’intenzione in realtà c’è già. A conti fatti, un libro del genere è quasi un manifesto, espressivo e metodologico, e ce ne rendevamo già conto mentre lo stavamo facendo. Sembra l’inizio di qualcosa, più che un’opera che si esaurisce in sé stessa. Per me, lasciare che un fumetto come “Le 5 Fasi” resti un caso isolato, sarebbe un po’ tradirlo. E poi, prima mentivo, ormai ci divertiamo. Siamo come i tre porcellini, al quadrato».

Cosa ti fa arrabbiare nel mondo del fumetto di oggi?

«Troppe chiacchiere, per un ambiente così minuscolo e, al di fuori di questo, a nessuno importa niente. Ce l’ho anche con i lettori, però. I veri colpevoli sono loro. Bastardelli ingrati. Loro ed i loro genitori».

Cosa ti piace nel mondo del fumetto di oggi?

«Rispetto a quando ho cominciato io, vedo una maggiore varietà nelle proposte. Se sei bravo e stai nelle tue belle caselle, puoi pubblicare abbastanza facilmente. Gratis. A parte questo, vedo un sacco di fumettisti bravissimi che invidio e odio fraternamente».

Fumetti e digitale: che ne pensi?

«Il digitale cambia parecchio il modo in cui percepisci le immagini. Se si passerà al digitale, si dovrà ripensare il fumetto fin quasi dalle basi. E probabilmente, a quel punto, si chiamerà pure in un altro modo».

Muore Moebius e per un giorno tutti si scoprono grandi appassionati o esperti di fumetti (soprattutto in Italia), poi silenzio totale… Come ti spieghi una cosa del genere?

«Non me la spiego. Ho smesso di cercare spiegazioni nel 1975. Comunque, di Moebius ne nasce uno ogni paccata d’anni. Sarà per quello».

Oggi in Italia tutti si riempiono la bocca con la parola “graphic novel” nel tentativo di dare spessore culturale al fumetto (come se ce ne fosse bisogno). Personalmente credo che esistano fumetti belli, fumetti brutti e fumetti così così, e questo a prescindere dal fatto che si parli di comics, di graphic novel, di fumetti seriali o di “giornaletti”. Che ne pensi di questa moda delle graphic novel?

«È come dici tu. Il fumetto non ha bisogno di dimostrare di avere una sua dignità culturale: ce l’ha già! Le mode vanno e vengono. Questa del graphic novel ha l’indiscutibile pregio di cercare nuove vie d’accesso ai lettori (per quanto di mezz’età), e l’innegabile difetto di tagliar fuori tutto quello che non rientra nella categoria».

L’ultimo bel fumetto che ti è capitato di leggere è stato…

«Mmm… direi “Trama” di Ratigher e “Palindromi” di MP5 (anche se quest’ultimo non è strettamente un fumetto… o forse è proprio per quello?)».

Grazie!

Il viaggio alla scoperta de “Le 5 Fasi” e del Collettivo DUMMY continua
il 14 maggio con l’intervista a AkaB