Sul filo dell’umano e illegale, Terraferma di Crialese mette davanti agli occhi il dramma dell’immigrazione. Senza dimenticarci di rimanere umani.

Il caldo sole della Sicilia si scontra ogni giorno con le agghiaccianti notizie di morte di clandestini.

Un dramma troppe volte strumentalizzato dai media, dai partiti politici, da chi sfrutta la disperazione di chi si getta nel Mediterraneo per cercare una vita migliore.

Agitando così gli umori della gente, ipotizzando scenari apocalittici se “non si ferma l’invasione” e dimenticandosi, ad ogni urlo sempre di più, il significato della parola “umanità”.

C’è poi chi racconta questo confine, politico e umano, senza speculare sulla tragedia ma, anzi, descrivendo la realtà che si vive in quella “terra di nessuno” che è il mare, dove può esistere solo la sua legge.

Terraferma, la recensione

Come Emanuele Crialese, regista e sceneggiatore, insieme a Vittorio Moroni, del film Terraferma (2011), pellicola presentata alla 68ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e vincitrice del Premio speciale della critica.

Il giovane Filippo (interpretato da Filippo Pucillo) e sua madre Giulietta (l’affascinante Donatella Finocchiaro) vivono sull’isola di Lenosa, minuscolo punto sulla mappa a metà tra l’Italia e i viaggi della disperazione dei barconi, raccogliendo dal mare quotidianamente corpi esanimi.

I due, dopo la morte prematura del padre, vivono affittando casa loro ai turisti in estate, mentre il ragazzo, insieme al nonno Ernesto (Mimmo Cuticchio) pesca in mezzo al Mediterraneo.

E lì, un giorno, si ritrovano a soccorrere dei naufraghi africani, abbandonati su una zattera e che, appena vista la nave dei due, si tuffano per raggiungerli.

Nonostante la Guardia costiera gli intimi di non intervenire, Ernesto porta a terra i clandestini salvati, tra cui una donna incinta e suo figlio, che ospita a casa sua e la stessa notte partorisce.

Ma le autorità hanno saputo del suo intervento: il giorno dopo gli sequestrano la barca e il gruppo dei pescatori dell’isola si divide: i più anziani sostengono l’aiuto dell’uomo, fedele alla legge del mare; mentre i più giovani, tra cui il figlio Nino (Giuseppe Fiorello) che si è dedicato al turismo, sono d’accordo a non soccorrere quelle persone. “Ci fanno cattiva pubblicità” spiega quest’ultimo.

Nel frattempo, la donna africana trascorre le giornate da Giulietta, mentre questa è sempre più in ansia per la situazione.

Terraferma, la recensione finocchiaro

Deve raggiungere Torino dove lavora il marito e madre, figlio e nonno progettano la sua partenza, senza che le forze dell’ordine scoprano la sua presenza.

Altrimenti sarebbero guai sia per lei e i suoi figli, che per la famiglia ospitante. Scrollandosi di dosso troppa buona retorica, Crialese da vita a un film molto intenso, che procede al ritmo di un respiro affannato e si tuffa in mare in un’apnea che non conosce fine.

Guarda in faccia i due volti delle coste siciliane: il turismo scanzonato e la tragedia di chi scappa dal Nord Africa, diventando a tratti amarissimo per il duro contrasto tra i due.

Non sarà certo un film d’autore a cambiare il mondo, è ovvio. Ma si passa anche da qua per cambiare il modo di guardare le cose, scacciando i fumi del troppo facile odio alimentato dalla xenofobia e cieco difronte alle suppliche di chiede qualcosa di più che pietà.

È nel mare di Terraferma che si specchia l’orrore della realtà odierna: solo nuotandoci dentro potremo ritrovare il coraggio di definirci “umani”.

Guarda il trailer di Terraferma su Youtube