The Asylum, il manicomio del low-budget. Viaggio nel mondo della Asylum, la “Cintura Nera delle Cazzate”.

L’onere di trattare filmacci delle serie dalla B in giù, rende imprescindibile, per chiunque si appresti a tale incarico al giorno d’oggi, prendere in considerazione le produzioni della famigerata The Asylum, la quale, negli anni 2.0 si è andata sempre più affermando come portabandiera delle “pratiche basse” del cinema di genere del terzo millennio.  The Asylum inizia la propria attività negli ultimi anni ‘90 proponendosi come semplice distributore di pellicole (soprattutto horror) a basso costo, senza, tuttavia, riscuotere molto successo. Fino a quando, nel 2005 i tre soci decidono di produrre un loro film, ispirato alla Guerra dei Mondi di H.G. Wells, in concomitanza con l’uscita dell’omonimo kolossal firmato da Steven Spielberg.

Inutile dire che War of the Worlds: Invasion, è una chiavica di film in cui assistiamo per quasi 90 minuti ai piagnistei, fastidiosi come un brufolo sul culo, di un uomo (più caghina di un coniglio) che deve ritrovare la propria famiglia ed alle confessioni esistenzialiste di un prete che ha perso la fede a causa dell’invasione aliena. Gli alieni in questione si vedono due volte due e, per risparmiare sui set, il grosso della pellicola si svolge in una cantina sgarrupata. Il sonno è garantito. Tuttavia, il fu-Blockbusters all’epoca ne ordina 100.000 (diconsi CENTOMILA) copie (e così abbiamo pure capito una delle cause del suo fallimento, mica l’avvento del download…). Questa fortunata circostanza apre gli occhi ai tre produttori: da quel momento è un fiorire di titoli che in qualche modo si rifanno esplicitamente ai più famosi film hollywoodiani, i cosiddetti mockbusters.

The Da Vinci Tresure, Transmorphers, The Day the Earth Stopped, American Warships, Age of the Hobbits (divenuto poi Clash of the Empires), Mighty Thor, The Amityville Hunting, I am Omega, Snakes on a train, Paranormal Entity, Abraham Lincoln vs Zombies, Battle of Los Angeles, Atlantic Rim, sono solo alcuni dei più eclatanti titoli.  Altre specialità della Asylum sono i film catastrofici e quelli di mostri giganti, in primis gli squali: il Mega Shark è un parto della fantasia folle e malata di quei pazzi scatenati. Ne riparleremo presto…

Sharknado, dell’anno scorso, folle e (purtroppo) mal realizzata pellicola in cui infiniti branchi di squali vengono frullati da un uragano sopra Los Angeles (in arrivo c’è il suo seguito, a New York…), è il film che, grazie ad un battage mediatico senza precedenti, ha ufficialmente sdoganato la Asylum, divenuta oramai tedoforo ufficiale delle Olimpiadi del “so bad, so good”, fulgido esempio di inesauribile fucina di puttanate, monumento delle produzioni low-budget e della sciatteria che spesso ne deriva. Diciamo, comunque, che The Asylum spazia serenamente un po’ tra tutti i generi, magari inseguendo la moda del momento (si veda Nazis at the centre of the Earth – il miglior Asylum di sempre,secondo me – sulla scia del successo di Iron Sky), ma proponendo anche prodotti originali. Insomma, dove c’è da rastrellare più denaro di quello che si spende, lì c’è Asylum.

Il metodo è quello delle marche taroccate che trovi dai vu’ cumprà: compro una cintura Giorgio Arnani (giuro che l’ho vista con i miei occhi) che sembra Armani, ma non lo è. Tuttavia, non bisogna avere la memoria corta e puntare il dito accusatore sulla Asylum, perché quella del mockbuster non è una pratica nuova, anzi. Non c’è nulla di nuovo sotto il sole: sfruttare un titolo di successo o spremere un filone cinematografico, è usanza risalente nel tempo. Roger Corman faceva lo stesso, ma ineguagliati maestri della copia-carbone furono i nostri italiani che, tra gli anni ’70 e ’80 (gli anni d’oro) ci regalarono pellicole diventate dei cult (tra i più famosi Zombi 2 di Fulci e L’ultimo squalo di Castellari, ma l’elenco è lungo e prende tutti i generi).

I cloni nostrani, tuttavia, erano molte spanne avanti rispetto a quelli Asylum, soprattutto sotto il profilo delle professionalità che vi prendevano parte. E poi, c’era l’ineguagliabile italian touch, quel-non-so-chè sufficiente a rendere in qualche modo diverso, intrigante ed originale ciò che si stava, di fatto, emulando.  Occorre, per amor del vero, annotare e dare atto che ultimamente certe produzioni Asylum, pur rimanendo nel loro standard del basso costo, a volte non fanno così schifo come i precedenti film ci hanno abituato a vedere. Sono appena sopra la mediocrità, certo, tuttavia a volte si nota, oltre alla (quasi) originalità delle storie, un piccolo ma sensibile miglioramento nella qualità realizzativa.

Più spesso del solito, gli ultimi film sono divertenti ed intrattengono, se ci si mette nella giusta ottica di assistere ad un film della Asylum. È il caso di Atlantic Rim, per esempio. Ponendosi nell’appropriata prospettiva, si viene ripagati con la giusta moneta. Il numero dei robottoni è nettamente inferiore a quello di Pacifc Rim (sono solo due o tre, se non ricordo male) e si vedono poco (perché la CGI costa, si sa) ma il mecha design non è male. La messa in scena è abbastanza povera, però il film si guarda, e si sorride anche per certe ingenuità che però, magari, in Pacific Rim (film non privo di difetti) non si perdonano.

Lo dico sempre: a fare le cose belle, con i soldoni, sono capaci (quasi) tutti. Il “quasi” è Prometheus. A proposito di quest’ultimo, questa mer(d)aviglia dovrebbe essere alla base dell’idea di Alien Origin, ennesimo prodotto dei nostri pazzi pirati hollywoodiani. In realtà, Alien Origin è tutt’altro: una spedizione di militari va nella giungla amazzonica del Belize per tenere sotto controllo dei ribelli. Si trovano invece a dover affrontare dei nemici alieni.

Si scoprirà, alla fine, e del tutto apoditticamente, che tali alieni sono stati i creatori della razza umana. Boh. Forse il peggior film Asylum che abbia mai visto (ma anche Clash of the Empires non scherza…). La trama, inesistente, sta tra Predator e Apocalypto: gente che per tutto il film corre nella boscaglia, inseguita da alieni invisibili, vale a dire che proprio non si vedono mai, e che si manifestano, a noi spettatori come ai protagonisti, soltanto sotto forma di luci improvvise o frasche che si muovono (del tipo: “Oh merda, c’è qualcosa tra gli alberi! Spariamo alla cazzo là in mezzo, e poi corriamo a caso nella giungla! AAAAAAAH!”). Roba brutta, davvero. Con un paragone non azzardato, Alien Origin sta al cinema come Teomondo Scrofalo sta alla pittura.

Tuttavia, volendo fare una riflessione, un lato positivo io l’ho trovato, nella filosofia produttiva della Asylum, ed è questo: senza volerlo, quei maledetti geni hanno inventato un nuovo genere cinematografico. Il cine-libro. Nel senso che nei loro film, costretti come sono dalle limitazioni di budget (parlo di quelli che richiederebbero dispendio di effetti speciali), è più quello che non si vede che il mostrato, tanto da demandare alla fervida fantasia dello spettatore immaginare ciò che viene narrato o solamente suggerito, così come avviene in un libro.

Con il risultato sorprendente di convertire un media sostanzialmente passivo quale è il cinema, in una sorta di meraviglioso strumento interattivo in cui è chi guarda che si fa il film. Beh, forse adesso ho esagerato con le minchiate, anche se la teoria del cine-libro mi affascina, come del pari mi affascina il mondo della Asylum: un mondo in cui ogni fantasia trova realizzazione, e non importa il risultato finale, tanto qualcuno che se lo compra, il film, ci sarà sempre. Nemmeno il cielo è più un limite, per loro. Tranne il budget, sempre rigorosamente basso.

Nelle prossime puntate: Android Cop ed i Mega mostri…