Twisted: un teen drama della ABC che causa dipendenza. Uno show da guardare una puntata dietro l’altra

Twisted è una di quelle serie estive che non ti aspetti.

Inizia tutto con due amiche undicenni sull’altalena che parlano del loro amichetto Danny, che le spia dalla finestra di una villa lì davanti, con sguardo inquietante.

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“Non lo vedi strano?” dice una delle due.
“Sarà il testosterone” risponde l’altra.


Twisted

Nel frattempo il bambino undicenne con i livelli di testosterone in crescita, prende una corda rossa di quelle per saltare e la usa per strangolare la zia.

Stacco. Sono passati 5 anni, in cui Danny è stato rinchiuso in riformatorio. Il suo ritorno scuote come un tornado la piccola e ricca città di periferia dove abita.

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“Ti hanno lasciato seguire Glee in riformatorio?” gli chiede una persona.
“Faceva parte della punizione” risponde Danny.

Ecco, in questa battuta si riassume il concetto di Twisted: una serie che tratta il dramma, gli omicidi, l’emarginazione, – pensate a qualunque altro di brutto vi viene in mente – allo stesso modo.

“Sai, è morta Tiffany”.
“Oddio che tragedia” – sguardo basito.
“Sai, mi è venuto un brufolo sulla fronte”.
“Oddio che tragedia” – sguardo basito.

È tutto posizionato su un piano narrativo sbagliato, come se la serie fosse stata scritta senza badare al peso dei diversi sentimenti. Non c’è preparazione, valorizzazione di niente: la morte di una persona e il ballo di metà autunno hanno la stessa importanza, anzi il ballo è forse più importante. Ed è questo squilibrio la parte più interessante della serie: è il suo scollegamento dalla realtà in cui viviamo.
Senza i dialoghi assurdi, i cliché narrativi, le situazioni telefonate, la serie non starebbe in piedi. Sarebbe banale, comune. Sarebbe già vista mille volte.

I personaggi sono creati col creatore automatico di personaggi televisivi: c’è il bel tenebroso ma impacciato Danny. Segue a ruota Jo, la secchiona con problemi di ritenzione idrica innamorata da anni di Danny, e poi Lacey, la bella di turno un po’ stronzetta e fidanzata col decerebrato capitano della squadra di calcio. Rico, l’amico reggi candela, e un plauso alla madre di Danny, la cui composizione corporea è al 78% di plastica, ed è espressiva come una Barbie.

Insomma, i personaggi di Twisted sono originali quanto una libreria Ikea, la storia è scritta in maniera discutibile e si basa su un mistero che andrà avanti per i prossimi tre lustri e di cui si sa già la fine. In più aggiungiamo tutte le banalità del genere: il triangolo amoroso, i ribaltamenti di colpevolezza a ogni puntata, le bugie, le azioni stupide dei protagonisti.

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Le location sono sempre le stesse viste e riviste: il locale tavola calda (visto in Happy Days, Beverly Hills 90210 e altri milioni di serie), la scuola anonima, le case borghesi con prati ben curati e cattivo gusto nel mobilio. La piccola vita del piccolo e tranquillo paesino con un passato scabroso, visto anche questo in migliaia di telefilm. Twisted insomma non inventa niente, e soprattutto non migliora quello già inventato. Proprio non c’è l’interesse a farlo. Non ci prova nemmeno. Quello che penso vogliono fare gli autori, è uno show che la gente possa guardare senza annoiarsi. E in questo riesce perfettamente. Anzi, crea dipendenza. Forse in America stanno già facendo i gruppi di disintossicazione, dai teen drama, o forse no, ma ci vorrebbero.

Twisted è stata proprio la sorpresa dell’estate: è una serie tv talmente sbagliata da funzionare alla perfezione.

Una serie consigliatissima per passare qualche ora di piacevole evasione.