300 è un film che impressiona, convince e che centra il bersaglio, nonostante qualche limite

Quello tra Frank Miller, autentica icona del fumetto mondiale, e il cinema sembrava il più classico dei matrimoni sbagliati, destinato da subito a nascere male, se non, piuttosto, a non nascere affatto.

Tutto questo, in parte, per l’iniziale scarsa confidenza dello stesso Miller con il mezzo cinematografico – sue le maldestre sceneggiature dei due pessimi sequel di Robocop – , ma anche, e soprattutto, per l’atavico scarso coraggio della Hollywood mainstream, poco propensa ad investire milioni di dollari in trasposizioni filmiche di fumetti certamente innovativi e visionari, ma allo stesso tempo violentissimi, crudi ed intransigenti, e così poco portati al politicamente corretto (per non parlare del conciliante happy end, praticamente sconosciuto al nostro).

C’è voluto il sorprendente risultato artistico ed economico – con incassi pari al doppio del budget solo al box office nordamericano – di Sin City, firmato a quattro mani da Miller e Robert Rodriguez, per aprire le porte dei grandi studios ai lavori di uno dei massimi maestri del fumetto contemporaneo.

300, e cioè l’opera seconda del devoto milleriano Zach Snyder dopo L’alba dei morti viventi, è stato, nel 2007, la definitiva conferma della sospirata svolta.

La storia dei 300 guerrieri spartani che, guidati dall’indomito Re Leonida, difesero fino alla morte il cruciale passo delle Termopili dall’avanzata dello sterminato esercito persiano – e il cui sacrificio svegliò da un colpevole torpore le altre città greche, portandole a formare un’armata comune in grado di imporre l’alt all’invasore straniero – ha colpito l’immaginario del pubblico di tutto il mondo, suscitando un entusiasmo inusuale e diffuso, alla maniera dei film fenomeno.

La rilettura della Storia in salsa horror-splatter, con testosterone ben oltre i livelli di guardia e innesti di propaganda muscolare e ultra-nazionalista sfacciatamente gridata (e per nulla dissimulata, per una volta), piace per sincerità di intenti, efficacia visionaria e abilità della messa in scena, nonché perla freschezza del radicalismo espressivo della regia di Snyder.

300, che espande ed arricchisce i contenuti del fumetto di Miller e Lynn Varley pur rimanendone sostanzialmente fedele, è un racconto popolare di carne e sangue, pulsante, vivace e straordinariamente vivo e vitale, pur – o forse proprio per questo – nella sua monolitica e manichea glorificazione della battaglia e della virile morte del guerriero – con sprazzi di auto-esaltazione e pura epicità di indiscutibile fascino e presa, come l’uccisione del capitano degli spartani, trafitto da tre lance, che questi spezza per massacrare furioso altri persiani prima di cadere al suolo esanime, o come la contemplazione, alla vigilia degli scontri, della flotta nemica affondata dalla tempesta, da parte di un Leonida imperturbabile e sferzato dalla pioggia, ma l’elenco potrebbe continuare a lungo – , che forse stona un po’ in anni di progressisti war movies disincantati e autocritici, ma che ha comunque il merito – magari da guilty pleasure, ma in fondo che importa – di far risuonare, potente e poderosa, anche la voce dell’altra campana, quella dell’epica belligerante e macha dello “stand your ground”, costi quel che costi e contro qualunque nemico, sociologicamente pericolosa applicata alla vita “civile”, ma anche, almeno al cinema, terribilmente immediata, istintiva e, perché no, divertente.

Snyder – anche sceneggiatore con Michael Gordon e Kurt Johnstad – è bravo nel portare letteralmente in vita le roboanti strisce del fumetto, infondendo al racconto per – belle, spesso bellissime – immagini un ritmo veloce ed incalzante, quasi che il film, e il pubblico con esso, stia marciando con Leonida e i suoi verso l’esercito di Serse.

Ottime le scene di combattimento, girate come furibondi bassorilievi di sangue, polvere e violenza, dove l’orgoglio e l’ansia di libertà di un popolo, scontrandosi con la brama di conquista di un altro, diventano spietata fucina di eroi e cadaveri dilaniati.

300, prodotto da Gianni Nunnari, Mark Canton e Frank Miller, è un autentico prodigio tecnico, nel quale recitazione dal vivo e ricostruzione digitale si fondono alla perfezione con stupefacente naturalezza, regalando una rappresentazione del peplum e della sua mitologia come mai si era vista prima.

Dato atto dei tanti meriti della pellicola, tra gli altrettanto evidenti malus ci sono, d’altro canto, un’eccessiva, stridente, ingenua retorica in certi dialoghi troppo “finti” o urlati, oltre all’impressione di uno schematismo, e di una palese superficialità narrativa, che si percepiscono a più riprese, in particolare nelle pause tra gli scontri e durante le sequenze a Sparta – teoricamente esplicative del background politico che successivamente avrebbe portato alla riscossa finale contro i persiani.

Di fronte ad alcune soluzioni facili, di racconto e raccordo – ad esempio, l’uccisione di Therone, un viscido e odioso Dominic West, traditore banalmente scoperto, o le riprese di paesaggi bucolici rubati direttamente ad altri Gladiatori – , la sensazione è quella di uno script a tratti semplicistico e grezzo, nel senso di non finito, che lascia un po’ insoddisfatti. Con un lavoro di scrittura più corposo e approfondito avremmo avuto un lungometraggio non meno spettacolare, ma dotato di uno spessore artistico e autoriale più elevato, nonché di una tenuta emotiva meno effimera.

Nonostante i suoi difetti, il 300 di Snyder – supportato da un cast interessante: Gerard Butler, un efficace e carismatico Leonida, Lena Headey, la Sarah Connor della serie tv, volitiva regina Gorgo, David Wenham, guerriero-narratore arrivato direttamente dalla Terra di Mezzo, oltre al bizzarro Serse di Rodrigo Santoro – blockbuster sincero e sanguigno, tecnicamente all’avanguardia e tutt’altro che plastificato od insapore come troppo spesso succede, si iscrive prepotentemente, e di buon diritto, tra i cinecomics di maggior successo e, soprattutto, più riusciti.

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