5 è il numero perfetto, è il primo film di Igort tratto dalla suo omonimo fumetto. La recensione di Matteo Strukul, nostro inviato speciale alla Mostra del Cinema di Venezia.
Confesso che su 5 è il numero perfetto avevo grandi aspettative. Non solo avevo amato la graphic novel all’origine della storia ma da sempre mi era parso che Igort avesse una naturale vocazione per una certa narrazione dell’inquietudine: nera, affumicata, metafisica.
La stessa che avevo poi ritrovato in un’altra favolosa opera come Dimmi che non vuoi morire in cui l’artista aveva unito il proprio talento a quello di Massimo Carlotto, realizzando un’avventura grafica dell’Alligatore, il personaggio creato dal romanziere padovano.
Per certi aspetti, insomma, la scelta di portare al cinema una storia come 5 è il numero perfetto mi era parsa da subito perfettamente centrata.
Eppure mentirei se dicessi che questo film è la trasposizione cinematografica del fumetto. In primis perché il fumetto è linguaggio a sé, che ha proprie regole di metrica e ritmo, in seconda battuta perché questo film sembra un’esplorazione originale e diversa che, partendo dal concept della storia, alla base del fumetto, ne allarga e sviluppa il mondo.
La grande sorpresa, poi, è la visione affascinante, stratificata, complessa che Igort regista propone allo spettatore.
Se la storia è quanto di più classico si possa immaginare, con l’elemento della vendetta a rappresentare il tema e il movente centrale, è la sua resa cinematografica a lasciare di stucco: una cupa e fascinosa lettura di una Napoli mai così legata a riti, leggende, luoghi evocativi, filmata prevalentemente in notturna, coperta di pioggia, fra le stradine deserte del quartiere del Cavone o con il cortile del Palazzo dello Spagnolo, nel rione Sanità, a offrire tutta la propria atmosfera barocca per una sequenza d’azione dal ritmo ipnotico e spiazzante.
Lo stesso potremmo dire riguardo l’amore per i dettagli estetici, esaltati dai costumi di Nicoletta Taranta, la fotografia livida di Nicolaj Bruel, le coreografie delle sparatorie, la cura nei dialoghi che non si limitano certo a riproporre gli stilemi classici delle storie di camorra ma sconfinano nel meta-linguaggio della predizione, della simbologia, della saggezza popolare, andando a cogliere un’anima napoletana molto meno frequentata dall’ultima ondata di pellicole crime a vocazione “sociale” di questi anni. Le quali, nel ripetersi, sembrano essersi inevitabilmente appiattite, smarrendo l’originalità e l’energia iniziale.
Non è il caso di 5 è il numero perfetto che, intelligentemente, punta a una narrazione che, forte dei codici del noir, del western e del yakuza film, riesce a riempirsi di un significato e una poetica del tutto sorprendenti.
Se a questo si aggiunge la recitazione misurata, efficace e lirica da parte di Toni Servillo, la carica energica di Carlo Buccirosso e le sfumature melò regalate da Valeria Golino, allora “Cinque” è davvero il film quasi perfetto.
Fra Sergio Leone e Takeshi Kitano, Igort trova dunque, in questo suo esordio alla camera da presa, una via profondamente originale, virtuosa, visivamente magnifica e scioccante, che ci fa sperare fin d’ora in un suo prossimo film.
Menzione d’onore va infine ai produttori – Propaganda Italia, Jean Vigò Italia e Rai Cinema – per aver avuto il coraggio di lottare fino in fondo, credendo in un film artisticamente senza compromessi e che, fino a oggi, in Italia non c’era.