Akashinga, la recensione di Matteo Marchisio dello splendido documentario di James Cameron prodotto dal National Geographic.

Se National Geographic, il regista James Cameron e la produttrice Maria Wilhelm uniscono le forze, il risultato è certo. Nel caso di Akashinga – the brave ones si tratta di qualcosa di universale.

Un documentario magnifico, per il taglio, per le immagini spettacolari e il punto di vista sulla vita di chi è immerso fino al collo nel contrasto di una delle piaghe più sottovalutate del mondo contemporaneo: il bracconaggio.

Il ranger nelle riserve africane è chiaramente una professione incredibile, una delle ultime possibilità moderne di vivere una vita avventurosa nel vero senso della parola, servendo uno scopo nobilissimo e sperimentando emozioni uniche, alla faccia di chi sostiene che la realizzazione sia un posto fisso in Amministrazione.

Un’idea generale di cosa fanno i ranger nelle riserve africane? Il torinese Davide Bomben porta avanti progetti del genere in tutto il continente e un tipaccio come Intructor Zero addestra gli operatori sul campo, così tanto per dare due nomi in pasto a Google.

Akashinga, una unità d’elite

Ma torniamo al grandissimo Akashinga – the brave ones. Akashinga è il nome del reparto, tutto al femminile, anti bracconaggio che opera nello Zimbabwe, plasmato e seguito da Damien Mander, ex special force australiano e fondatore dell’Anti-Poaching Foundation.

Akashinga mostra selezioni e addestramento delle donne che compongono questa unità, estremamente efficiente ed efficace contro l’eliminazione degli animali africani da parte dei bracconieri in cerca di avorio, ricercatissimo dal mercato asiatico in particolare cinese, fenomeno che alimenta un giro di affari oscuro e complesso alla base di parte dell’instabilità politica di molte nazioni africane.

La maggiore difesa dell’ecosistema sono comunità locali, le uniche in grado di fornire la giusta protezione all’ambiente in cui vivono in simbiosi.

Il modello Akashinga punta ad affiancare all’addestramento fisico, un percorso formativo con l’obiettivo di sradicare l’idea di concepire l’eliminazione di animali protetti insegnando e mostrando gli effetti positivi incalcolabili che una natura rigogliosa può avere su indotti sani: turismo in primis ma anche stabilità interna di stati nazionali tante volte devastati da guerre e rivoluzioni.

Impatto visivo pazzesco

La scelta di utilizzare solamente donne, bardarle con equipaggianti da guerra, impartendo loro tecniche di sopravvivenza e antiguerriglia offre una possibilità di riscatto a persone i cui destini sarebbero quasi certamente all’insegna di sfruttamento e abusi.

L’impatto visivo è assoluto e tiene incollati info all’ultimo minuto. L’impiego massivo di riprese con droni mostra sequenze da pelle d’oca, mixando praticamente tutto quello che sa di avventura allo stato puro: grandi ideali, bracconieri affrontati da ragazze guerriere armate di m16 mimetizzate nella vegetazione, nell’immensa cornice della savana africana.