Scenari metropolitani, in una provincia del Nord Italia completamente decontestualizzata, fanno da sfondo a storie che non appartengono a nessun luogo, ma che indagano gli aspetti nascosti della vita di ogni individuo: la suburbia padana che diventa periferia del mondo. E la regia di Omar Pesenti contribuisce a renderla ancora più sterile e fredda di quanto non sia nella realtà. Una wasteland ideale per raccontare la solitudine, la sofferenza e la violenza che contraddistinguono la sfera intima dell’uomo d’oggi.
Tre corti e un mediometraggio (girati tra il 2006 e il 2009) che spaziano dall’hard boiled all’horror, dal noir al thriller metropolitano: filoni che si contaminano e che si fondono l’uno nell’altro. E, da ultimo, lo sperimentale (Un)useful Mind (2010), un’opera ibrida, che si discosta dai lavori precedenti.
E’ la filmografia (per nostra fortuna ancora incompleta) di Omar Pesenti, regista indipendente bergamasco.
(Un)useful Mind (2010)
Fare la guardia notturna può essere il lavoro perfetto per cercare rifugio dal caos quotidiano, soprattutto se si soffre della sindrome ossessivo-compulsiva. Ma anche all’interno di un ufficio deserto la realtà esterna può irrompere e distruggere il piccolo mondo di vetro tanto faticosamente costruito (Introduzione al cortometraggio tratta dal sito).
(Un)useful Mind, quinto corto di Omar Pesenti, vuole allontanarsi dalla cinematografia di genere, che ha invece contraddistinto le altre produzioni del regista. Il superamento è di fatto parziale, dato che il risultato è un film tecnico e sperimentale, un ibrido comunque contaminato da vari elementi di genere.
L’atmosfera claustrofobica e inquietante (fotografata da Marco Malizia) e una storia priva di dialoghi, la cui narrazione è affidata esclusivamente alla voce fuori campo, contribuiscono a confondere la realtà con immagini appartenenti ad una dimensione parallela, generata dalla psiche alterata di un guardiano notturno (Yuri Plebani). In poco più di nove minuti, il suo piccolo mondo di vetro, così faticosamente costruito, si deteriora, fino a frantumarsi definitivamente nella scena conclusiva (l’unica, e non a caso) in cui il protagonista prova ad aprir bocca. E qui casca il palco: la realtà esterna irrompe nella mente malata della guardia, compromettendone irrimediabilmente l’equilibrio psichico.
La sceneggiatura è dello stesso Pesenti e di Massimo Vavassori; la colonna sonora è a cura di Daniele Zandara.
27 minuti di purezza (2009)
Una tranquilla cittadina viene risvegliata da un brutale omicidio a sfondo passionale: questo caso di cronaca nera e il conseguente fastidioso assalto dei media sconvolgono la vita di una famiglia perbene. Un cinico poliziotto (Fabio Rizzolo), al quale viene assegnato il caso, racconta i retroscena di tutta la vicenda, svelando la meschinità di certo giornalismo e la morbosità del pubblico cui esso si rivolge (qui trovate il video).
Preceduto da un bellissimo trailer, 27 minuti di purezza affronta la questione della manipolazione dell’informazione e dell’invasività dei media. Il cinema, in quanto (a sua volta) mezzo di comunicazione e, soprattutto, perché simbolo dell’immagine artefatta, ha più volte analizzato questo tema, offrendo diverse chiavi di lettura.
Come al solito, Omar Pesenti, grazie ad una regia incisiva e senza sbavature, realizza in pochi minuti (per la precisione, 7’11’’) un corto che propone la ricostruzione di un fatto di cronaca nera. L’ottimo sviluppo della trama narrativa (la sceneggiatura è di Massimo Vavassori) consente di mantenere la suspense fino all’ultima scena: un finale sospeso, che propone nuovi ed ulteriori interrogativi. Omar Pesenti sembra suggerirci questo suo personale punto di vista: lo strapotere della televisione, che attraverso la freddezza dell’immagine ci dà in pasto violenza nuda e cruda (vera protagonista dell’informazione mediatica), altro non fa che soddisfare la fame morbosa di un pubblico isterico, di un’opinione pubblica senza opinioni.
Un piano sequenza circolare rivela la scena del crimine, già invasa dalle asettiche tute bianche della polizia scientifica.
La fotografia è di Marco Lamera; le musiche sono di Ron Meza.
Vincitore del Premio “L’Eco di Bergamo” al Festival CortoLovere nel 2009.
Di chi è ora la città (2008)
Il noir metropolitano Di chi è ora la città, terzo film di Pesenti, è un mediometraggio di trenta minuti. Un omaggio a Collateral di Micheal Mann, ma anche al cinema di Di Leo e alla produzione di action movies dell’Estremo Oriente (in particolare, di quella made in Hong Kong), condito con qualche tocco pulp.
La lotta tra due cosche mafiose per il controllo della città viene decisa attraverso la resa dei conti tra due soli uomini. Le due prede si fiutano e si danno la caccia tra inseguimenti e conflitti a fuoco, fino all’ultimo scontro, che sfocia in un finale tragico. Una metropoli buia e opprimente (fotografata da Marco Lamera e dallo stesso Omar Pesenti) contribuisce a rendere ancora più pesante e allucinante l’atmosfera. Oltre al bel finale, va ricordata la scena della sparatoria in un deposito degli autobus.
I nomi dei due protagonisti Luca Canali (Paolo Riva) e Erik Maestri (Jacopo Del Santo) sono rispettivamente un tributo a Di Leo (Luca Canali è il pappone siciliano de La mala ordina) e a Friedkin (Erik Masters è il pittore falsario di Vivere e morire a Los Angeles).
Di chi è ora la città è stato scritto dallo stesso regista in collaborazione con Veronica Borgo e Massimo Vavassori. La colonna sonora è affidata, ancora una volta, a Ron Meza.
Frattura (2007)
Un uomo (Jacopo Del Santo) insegue una ragazza, la uccide e la fa a pezzi. Il giorno dopo si sveglia: è nel suo letto e al suo fianco c’è una donna. Come se nulla fosse accaduto, va in ufficio. Frattura è un horror che non manca di tocchi umoristici. La donna (Veronica Borgo) è una vampira. Ha bisogno di sangue umano per sopravvivere, sangue che proviene dalle vittime che il suo compagno ammazza per lei. Senza di lui non potrebbe vivere, come gli scrive in un biglietto. Dato il budget risicato, non sono presenti scene con effetti splatter; ma una regia pulita ed efficace, una sceneggiatura convincente e un’ottima fotografia trascinano all’interno della storia lo spettatore, che si ritrova in un’atmosfera a metà strada tra il romanzo gotico e il fumetto. Mentre scorrono i titoli di coda, assistiamo per qualche istante al luculliano pasto del mostro.
Omar Pesenti cura anche fotografia e sceneggiatura (a quattro mani con Veronica Borgo). Le musiche sono di Ron Meza.
Un passo più lungo (2006)
Già dal primo corto, Un passo più lungo, plot e atmosfera riconduco al noir americano e, in particolare, a Il mistero del falco di John Huston e a Il grande sonno di Howard Hawks. Un passo più lungo è un detective thriller a tutti gli effetti, nonché un sincero omaggio al genere (come lo stesso Pesenti dichiara nella presentazione del corto). Poco più di nove minuti per seguire le vicende di un investigatore contattato per risolvere un caso. La cliente è una dark lady, come da copione. L’uomo inizia ad indagare, ma si ritrova in una situazione senza via di scampo: due individui lo aspettano nel suo ufficio per estorcergli delle informazioni. Lo legano ad una sedia e lo picchiano, hanno già ucciso la sua compagna. E’ con questa scena che si conclude Un passo più lungo; un epilogo identico al prologo: un classico del noir.
A breve, inizieranno le riprese del nuovo film del regista bergamasco: una storia che si sviluppa nell’ambiente del basket. Andrea, il protagonista, è un ragazzo alto quasi due metri; eppure, fino a qualche mese prima, non superava il metro e sessanta. Nel frattempo, la centrale di Fukushima è esplosa. Dal Giappone, la nube nucleare si diffonde in tutto il resto del mondo. To be continued.
E in attesa della nuova opera di Omar Pesenti, godiamoci intanto questi cinque cortometraggi. Buona visione!