American Hustle è un capolavoro mancato. Un film che avvince ma lascia l’amaro in bocca. Un cast in stato di grazia capitanato da Christian Bale rende grande una pellicola che osa troppo poco
Dopo l’ottimo successo di The fighter e Il lato positivo David O. Russell prosegue la sua personale rinascita artistica con un’opera che avrebbe potuto, una volta per tutte, farlo assurgere all’olimpo dei grandi registi hollywoodiani.
Dico avrebbe, perché American Hustle, nonostante l’ottima sceneggiatura ed il cast stellare, resta al di sotto di un’aspettativa forse eccessiva, conseguenza degli squilli di tromba che ne hanno accompagnato l’uscita.
Per usare una metafora calcistica Russell assomiglia un po’ a quei fantasisti sudamericani belli a vedersi, ma poco concreti. Tecnica sopraffina, dribbling e numeri, ma dopo aver saltato tutta la difesa tirano la palla in curva o tra le braccia del portiere. E tu te ne stai lì, a bocca aperta, pronto ad esultare, con un grido di giubilo che ti muore in gola.
Non fraintendetemi: American Hustle è un film da vedere anche solo per le splendide interpretazioni dei singoli protagonisti. Il camaleontico Christian Bale, le stupefacenti Amy Adams e Jennifer Lawrence, l’ex bietolone Bradley Cooper e un impomatatissimo Jeremy Renner. Infine, il cameo di sua maestà Robert De Niro, chiaro omaggio a Martin Scorsese.
La vicenda narrata è liberamente tratta da una storia vera, lo scandalo Abscam, che negli anni 70′ coinvolse una serie di politici americani, corrotti grazie all’utilizzo di un fantomatico sceicco creato ad hoc dall’FBI per offrire tangenti ad esponenti del congresso e senatori.
L’Irving Rosenfeld interpretato da Christian Bale è il protagonista principale del film: un truffatore professionista infelicemente sposato con l’instabile Rosalyne (Jennifer Lawrence) ed innamorato della provocante ed astuta Sydney Prosser (Amy Adams), con la quale gestisce una serie di frodi e raggiri.
Richie DiMaso (Bradley Cooper), è un agente federale smanioso di fare carriera, che dopo avere arrestato Irving e Sidney li costringe a mettere al suo servizio la loro arte, per incastrare in un sol colpo politici corrotti, altri truffatori e pericolosi mafiosi. Il tutto partendo dall’ignaro Carmine Polito (Jeremy Renner), sindaco di una piccola cittadina, che in buona fede accetta la prima mazzetta, convinto di poter fare del bene alla sua gente.
Gli anni 70′ sono ricostruiti in maniera strepitosa grazie ad una fotografia sfavillante ma mai eccessiva, una serie di costumi memorabili ed una colonna sonora d’epoca che include classici intramontabili di Led Zeppelin, Duke Ellington, America, Elton John, Paul McCartney & Wings, Bee Gees e Donna Summer.
In American Hustle niente è come sembra. Dall’improbabile riporto di Irving, ai ricci di DiMaso, alle identità e credenziali fasulle esibite con disinvoltura da Sydney, sino allo sceicco interpretato da un agente federale messicano.
Tutto è pura fuffa, messa in scena e solo chi è un vero professionista dell’imbroglio ha qualche possibilità di cavarsela. I personaggi lottano con accanimento per sopravvivere e per trasformare la propria vita in qualcosa che sia finalmente vero, concreto, rassicurante.
Il più grande difetto della pellicola corrisponde probabilmente ad una scelta consapevole del regista. Russell sembra far passare deliberatamente in secondo piano i lati più oscuri e violenti della vicenda per dedicarsi a ciò che meglio gli riesce: analizzare le dinamiche che regolano i rapporti dei protagonisti, approfondendo l’umanità e la fragilità dei singoli personaggi che si rivelano, di volta in volta, deboli, confusi, spesso grotteschi. E sin qui non ci sarebbero grossi problemi…
Sennonché la storia criminale finisce col trasformarsi, a poco a poco, in una parabola di redenzione politicamente troppo corretta. Le situazioni più difficili si risolvono infatti con passaggi che, seppur godibili, rasentano i toni della commedia.
Tutto ciò potrà forse compiacere l’Academy, ma finisce col disilludere chi si aspettava un’epopea di più ampio respiro, come sono stati i capolavori di Scorsese, De Palma e Coppola, solo per fare alcuni esempi illustri.
La prima mezz’ora, inoltre, è troppo macchinosa e alcuni dialoghi (sopratutto nella prima parte) lasciano perplessi, così come il finale, tanto rivelatore quanto frettoloso.
Tirando le somme
Bello? Sì.
Da vedere? Indubbiamente.
Capolavoro? No.
Il talento di Russell, del quale resto un estimatore, non si discute, ma per strapparci i capelli (o il parrucchino) dovremo attendere il prossimo giro.