Arianna, un racconto inedito di Alberto Spinazzi per Sugarpulp
Arianna era esausta, la cena con i Ferrari l’aveva distrutta. Non sopportava il branzino al sale e il polipo in umido. Si sentiva lo stomaco pesante.
Aveva dovuto parlare tutta la sera di banche, di interessi, lei che sperava solo di riuscire a finire di pagare le rate del mutuo. E che garanzie dare in cambio? Ecco il pensiero che la tormentava.
Gli amici potevano contare sulle case delle nonne morte: un figlio viveva con la fidanzata e lavorava come capo di un’ottima compagnia di assicurazioni, e l’altra studiava in Belgio e non si capiva che cazzo facesse. Il marito Luca naturalmente non aveva voluto venire.
Diceva che doveva prepararsi perché il giorno dopo – lui che aveva il “privilegio” di essere guida turistica – doveva tenere una lezione sulla Chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari.
I Ferrari avevano insistito per andare a cenare in un ristorante costoso a Mestre, Arianna sapeva che avrebbero insistito per pagare. Non sopportava l’idea di farsi sempre pagare le cose dagli altri, ma non era mai riuscita a mettere da parte un soldo in tutta la sua vita. Il suo lavoro alla cooperativa era pagato 7 euro lordi l’ora e Luca non riusciva sempre a lavorare. Era dura.
I Ferrari, dopo numerose insistenze, l’accompagnarono in macchina a Venezia. Camminare per la città le diede sicurezza, la precarietà dei propri pensieri trovò qualche momento di pace. Pensò al figlio Marco di otto anni che cresceva bene, e anche a Luca, che si dava tanto da fare per loro. E al loro gattone Fiasco. Davvero una bella famiglia. Sperava che Luca non fosse troppo stanco, aveva voglia di fare l’amore.
Arrivò in Campo San Giacomo dell’Orio. La loro casetta si trovava al piano terra.
Provò ad aprire la porta ma le chiavi sembravano non funzionare, eppure la serratura era stata oliata da poco. Riprovò. Niente. Si allontanò di qualche metro. Tutte le luci delle finestre erano spente. Che Luca fosse già a letto? Alle 11.30? Difficile. Provò a suonare.
La porta lentamente si aprì. Arianna entrò, tutto era buio, fu colpita da un uno strano rivoltante odore. Accese la luce ma nemmeno quella funzionava. Attivò la luce del cellulare e ne seguì la scia. Vide il gatto uscire dalla loro camera, le zampe lasciavano orme di sangue. Spaventatissima, entrò nella camera e vide l’orrore. Vomitò tutto il pesce della cena dei Ferrari.
Orrore. La luce si accese da sola. Luca era disteso nudo sul letto, intero ma svuotato degli organi asportati con cura chirurgica e poi riassestati a terra, come in un tavolo operatorio. Gli occhi erano aperti e sembravano fissarla. C’era sangue dappertutto. Arianna non riuscì a urlare, il diaframma bloccato.
Una figura enorme, vestita tutta di nero, tranne per l’ovale del viso, la stava guardando. Non si muoveva, non aveva coltelli (un successivo controllo non trovò tracce di oggetti insanguinati in casa). Sottobraccio teneva una busta di pelle, dal taschino della giacca spuntava il bagliore del cappuccio metallico di una penna.
“Vuoi parlare. Vuoi sapere perché?”, chiese la strana figura.
Arianna con voce flebile riuscì solo a dire: “Chi sei?”
“Ha poca importanza. Potremmo soltanto aver disputato una lunga partita a scacchi e tuo marito potrebbe aver perso, ma non cambierebbe. Come dite voi, qualcosa come la vita è un gioco. Ci sono partite perse in partenza, nulla di personale. Sono i numeri che contano. Le cifre”.
“Come hai fatto questo massacro?”
“Io non ho bisogno di armi. Ma sono vecchio. Anche per noi arriva il momento dei bilanci, ma non possiamo fare come voi, ed è triste fare quello che dobbiamo fare. Era meglio se tornavi a casa dopo. Non mi basta il corpo di tuo marito. Il conto è ancora in sospeso”.
“Nooooo, ti prego…”
“Mi dispiace.. Devo portare con me tuo figlio Marco.”
“Sei un mostro. Perché ci dai tanta sofferenza?”
“Perché… infatti… La nostra regola è di prendere il corpo di un uomo adulto e l’anima di un bambino per poter ripagar il conto.”
Arianna provò a scagliarsi verso la strana figura ma un forza mai provata prima la bloccava ai piedi del letto. L’ultima immagine che riuscì a vedere quando fu libera di muoversi furono i passi dell’uomo che si allontanava, in una mano la busta nell’altra quella di Marco.
Provò ad alzarsi ma la paralisi la fermò. Il gatto la fissò con quello sguardo espressivo che solo i gatti possono avere. Prese l’animale e lo strinse forte, quasi a strozzarlo ma lui capiva e lasciava che Arianna facesse di lui quello che voleva.
Dopo vari minuti riacquistò lucidità e capacità di muoversi. Corse fuori e urlò più forte che poteva. Accorse molta gente e alle fine si aggiunse la polizia. Nessuno seppe spiegarsi un tale delitto. Arianna fu interrogata e definita incapace di intendere e volere. Dopo un periodo trascorso in clinica, uscì ma non volle più tornare nella vecchia casa.
Quando a Venezia c’è un’acqua alta eccezionale le malelingue (e sono molte) dicono che sia il figlio della vecchia matta che, issandosi dagli inferi, cerca di tornare dalla madre.