Aspettando i barbari, la recensione del capolavoro di Ciro Guerra con Mark Rylance e Johnny Depp. Una grande lezione di civiltà, cultura, politica e speculazione.
Non sono solito fare osservazioni personali quando scrivo o recensisco, ma Aspettando i barbari (romanzo di J. M. Coetzee edito in Italia da Einaudi) è una leggenda molto importante per i tempora attuali; ne sto parlando insistentemente con i miei studenti e alle conferenze pubbliche.
Il testo di per sé, un romanzo breve a cavallo tra immaginazione fantastica e categorie storiche, è molto valido; tuttavia grande valore gli viene attribuito dalla recente versione cinematografica, per forza di cose non ben valorizzata sul grande schermo a causa della crisi pandemica (il film è stato presentato alla 76a Mostra Internazionale del Cinema nel 2019).
Il Magistrato della provincia imperiale
Il protagonista del film è un Magistrato senza nome, interpretato appunto da Rylance (inglese con radicata formazione teatrale), un pubblico funzionario a capo di una sabbiosa provincia, ai margini di un Impero senza nome. Nato nella Capitale, il Magistrato è un uomo di stile, eppure compassato e dai modi assai democratici, che amministra la sua città con pazienza e rettitudine salomonica. Non ambisce a essere ricordato (manca poco al suo pensionamento, gli saranno sufficienti poche righe nella gazzetta imperiale) e dunque evidenzia così un carattere che presenta forti tracce di stoicismo.
È uno studioso dell’antichità, perché trascorre le sue serate a leggere tavolette di un’altra epoca, che lasciano presagire l’esistenza di un’altra civiltà, differente e anteriore a quella dell’Impero.
Inoltre egli è consapevole che ogni generazione di Magistrati è stata testimone di sporadiche manifestazioni di isteria nei confronti dei Barbari, ovverosia una popolazione nomade, numericamente molto consistente, che abita i deserti e le montagne al di là di quell’ultimo avamposto. Da quel che si apprende, i barbari sono tutt’altro che disposti al dialogo e preferiscono essere ignorati; condizione che si è puntualmente e opportunamente verificata grazie al savoir-faire del Magistrato. Nel momento di avvio delle vicende, pertanto, vige tra le due civiltà un rapporto di cordiale indifferenza.
Il Colonnello Joll
A turbare gli usi e i costumi della comunità giunge appunto un militare, esponente del corpo di polizia imperiale: il Colonnello Joll, uomo austero e lievemente contraddittorio (ben interpretato da Johnny Depp), che risponde al potere centrale ed è giunto nella cittadina accompagnato da uno sguarnito gruppo di soldati. Li accompagna una piccola carrozza, blindata e antiestetica.
Da un punto di vista metaforico ed estetico, la pellicola evidenzia bene le differenze strutturali tra i personaggi: il Magistrato, baffuto, indossa vesti comode e di colori tenui (sahariana e cinturone di pelle marrone), mentre il Colonnello e i suoi uomini sono tutti agghindati in blu, con cinture e stivali neri. Joll è ben rasato, astemio, indossa avveniristici occhiali da sole, accessorio sconosciuto alla popolazione locale (gli consente di attenuare le rughe degli occhi e le emicranie), ha con sé un minaccioso e piccolo martello dorato. Come si vedrà, senza anticipare granché, è lì per acquisire informazioni, indagare, secondo regole e protocolli burocratici che non è neanche in grado di spiegare (sorridendo, parla di un generico coordinamento tra funzionari). Moduli amministrativi che de facto possono essere spinti all’eccesso repressivo, in quanto Joll è anche disposto a torturare, ed è mosso da un accennato disprezzo nei confronti dei sudditi della provincia e da un ovvio razzismo nei confronti dei barbari.
È accompagnato in questa funzione dal soldato Mandel, una sorta di funzionario militare e segretario, interpretato da Robert Pattinson, un po’ fuori fase.
Il Magistrato, di fatto, fa poco o nulla per contrapporsi al loro operato, ma in realtà il senso dell’opera è dimostrare come, ancora una volta (dal Nuovo Testamento a tutta la letteratura civica), la persona mansueta è sempre dalla parte della ragione.
Depp, nelle interviste, ha ipotizzato una backstory per il personaggio da lui interpretato, affermando che Joll non sia altro che un sicario senz’anima, a sua volta traumatizzato dalla paura del potere centrale, e dunque un esecutore privo di volontà (da sempre le figure più tragiche della narrativa).
Una lezione di diritto
In explicit in realtà si verifica l’evento / colpo di scena che tutti si sarebbero dovuti aspettare, e giunge dunque agli occhi dello spettatore come un evento al contempo sublime e cataclismatico, che lascia intendere molte future circostanze per l’impianto della trama e soprattutto dello spazio-tempo descritto dal film. Ancora una volta, l’attesa (l’aspettare qualcuno) si rivela esperienza negativa, proprio perché l’evento incombe, al di là della sua verificazione fattuale, e rovina le vite delle dramatis personae (come anche in Buzzati o nelle storie di assedio, ad esempio in Saramago).
È una grande lezione giuridica, sociale ed etica, quella di Aspettando i barbari, perché si ascrive al filone delle grandi narrazioni istituzionali, la cui suspense mistica (suspense direttamente dal suggerito suspendere di Quintiliano: digressioni artificiose per giungere a un risultato grandioso) fa progredire la profondità del nostro pensiero e migliora dunque la nostra attitudine culturale.
Amara colonna sonora di Marco Beltrami e di Buck Sanders. In passato (2008) il concetto di Aspettando i barbari è stato musicato dallo statunitense Philip Glass. Buona visione.