Athena, la recensione di Matteo Strukul del film di Romain Gavras proiettato alla 79 Mostra del Cinema di Venezia
È di Athena l’attacco più mozzafiato e scioccante fra i film in concorso, almeno nella prima parte di mostra.
Da quel momento non ci si fermerà più in questo film che è una furiosa pellicola sulle insurrezioni da banlieue, tema che, negli anni, dopo L’odio di Mathieu Kassovitz sembra avere inaugurato una sorta di filone a sé nella produzione di film, pur nelle sue diverse declinazioni. Penso, fra gli altri a Les Barons di Nabil Ben Adir, Banlieue 13 di Pierre Morel, Tête de Turc di Pascal Elbé e il recente I miserabili di Ladj Ly.
Il film di Romain Gavras (prodotto da Netflix) comincia con la più classica delle guerriglie ma annoda almeno tre trame principali fra loro in modo davvero avvincente almeno fino a un certo punto. Un ragazzo è stato ammazzato dalla polizia. Suo fratello Abdel, che ha militato nell’esercito francese, chiede giustizia alla polizia. Ma non è il solo. Perché anche l’altro fratello, Karim, vuole giustizia ma nel suo caso essa si tinge con le tinte forti e sanguinose della vendetta secondo un principio da legge del taglione.
È proprio lui a far scoppiare la rivolta, con un assalto devastante a una stazione di polizia. È il modo più rapido e sicuro per portare la guerra ad Athena, la banlieue parigina dove vive e in cui lui e i suoi amici affrontano in una serie di scontri terrificanti i poliziotti in spedizione punitiva. Fin qui niente di nuovo.
Ma Karim ha un piano che pare presagire l’esito della terza storia: quella di Jerome un giovane poliziotto che non pare troppo convinto e spietato per affrontare quel che lo aspetta. È lui l’anello debole della catena ed è quell’anello che Karim ha intenzione di colpire.
La vicenda procede senza intoppi con continui colpi di scena fino a un’ora abbondante di film, per una pellicola che ha il merito gigantesco di essere la prima di poco superiore all’ora e mezza fra le prime cinque presentate e anche su questo una riflessione prima o poi la dovremo pur fare, se è vero com’è vero che nessuna delle altre quattro, con l’eccezione di Fabio Guadagnino ha materiale narrativo sufficiente per giustificare un martirio di tre ore per il pubblico.
Un’ultima mezzora deludente
Tornando ad Athena, il problema è che, partito magnificamente, e superata di slancio la metà, il film si avvita malamente nella parte finale, l’ultima mezzora. Uno dei personaggi ha un cambio di direzione che, seppur parzialmente giustificabile, non convince affatto e la storia si trascina in una progressione di efferatezze e follie che da un certo momento in avanti sfiora non tanto la barbarie, quanto un senso di incredulità che pur sospeso conduce ai limiti del dark fantasy.
Un peccato non del tutto veniale, anzi, il film che poteva essere la vera sorpresa della Mostra mette in evidenza una volta di più formidabili virtuosismi registici nelle scene d’azione ma vanifica il buon lavoro fatto dagli attori nella caratterizzazione dei personaggi a causa di un paio di bizzarre decisioni in termini di scrittura, dando un po’ la sensazione che non fosse chiaro a nessuno come finire il film, a cominciare da un poliziotto ferito a una gamba che ricomincia a correre come Marcell Jacobs ed è questa solo la più sciocca delle incongruenze.
Peccato!
Rimane il fatto che, visivamente, il film è di formidabile potenza. Manca un po’ l’anima. Quella che, per capirci, avevamo trovato in un film – per certi versi accomunabile – come Shorta di Anders Olholm e Frederik Louis Hviid, proprio due anni fa qui a Venezia nella sezione SIC, Settimana Internazionale della Critica.