Con l’intervista ad Ausonia il nostro viaggio alla scoperta del Collettivo DUMMY e de “Le 5 Fasi” è arrivato al termine. Chiudiamo con quella che, di fatto, è la sesta fase, la fase nascosta, dato che con il suo lavoro Ausonia ha fatto da collante tra le 5 storie attraverso una sorta di racconto fotografico. Una serie di immagine semplici ma al tempo stesso potenti, caratterizzate da un cromatismo molto particolare.

Ho trovato molto affascinante l’espressione usata da Michele Garofoli che ha parlato di Ausonia come di “moderno Caronte” autore di fatto di un fumetto che non è fumetto, di una storia che non è una storia, della 6a fase di un libro intitolato “Le 5 Fasi”. Proprio per questi motivi le pagine curate da Ausonia diventano indispensabili per dare unità e omogeneità a tutto il progetto.

Ciao Ausonia, ad un anno dall’uscita che ne dici di provare a fare un bilancio di quest’esperienza editoriale?

«Magnifica».

Da cosa nasce l’idea di dare vita ad un progetto come “Le 5 Fasi”?

«Al di là del libro in sé avevamo voglia di stare insieme. Erano anni che avevamo voglia di fare qualcosa in gruppo».

Sei soddisfatto del risultato finale del tuo lavoro o cambieresti qualcosa?

«Non cambierei una virgola».

Cosa ti ha colpito di più nel lavoro dei tuoi “compagni di viaggio” in questa avventura?

«Eh, il fatto che alla fine siamo riusciti ad arrivare alla stampa. Insomma, non era scontato. Siamo talentuosi quanto riottosi. Non è stato facile tra di noi, non è stato per niente facile con l’editore. Però… faceva tutto parte del piano. E il piano era non avere piani. Era ovvio che sarebbe stata dura. “Le 5 Fasi” è un libro particolare. Impegnativo. È stato impegnativo idearlo, realizzarlo e credo sia impegnativo anche per il lettore. Però a esperienza conclusa devo dire che sì, siamo stati in gamba».

“Le 5 Fasi” potrebbero avere un seguito? Per lo meno dal punto di vista di un progetto editoriale così particolare e complesso.

«Lo ha già, siamo solo in attesa di trovare un editore. Il primo a cui lo abbiamo proposto sostanzialmente era un frustrato, uno di quelli che siccome non è in grado di essere un autore cerca di stravolgerti il progetto giusto per accreditarsi qualche merito. Una roba così. Il secondo editore a cui lo abbiamo proposto era troppo generalista, della serie: “facciamo libri per tutte le età”, e… dal ciuccio alla dentiera è sicuramente una forbice eccessiva e un pelo troppo nazional-popolare, tipo fiction con Lino Banfi, per inserirci una qualsiasi proposta del nostro collettivo. C’è poco da fare, le possibilità, se vuoi fare qualcosa di diverso da Tex, sono pochissime. Abbiamo ancora un paio di carte da giocare, vediamo come va. Se non va passiamo direttamente all’autoproduzione. In questo paese l’autoproduzione sta diventando un imperativo morale.».

Cosa ti fa arrabbiare nel mondo del fumetto di oggi?

«Arrabbiare, niente. A volte mi stupisce, questo sì, ma come mi stupiscono le cose in Italia. Un paese di sonnambuli. Però di quelli peggiori, che manco sognano quando dormono».

Cosa ti piace nel mondo del fumetto di oggi?

«Mi piace che al di là dei giornalini nazional-popolari, fatti di ideine striminzite & scopiazzate e disegni precisini che sembrano un po’ tutti fare il verso ai fotoromanzi anni ’60, con i personaggi in posa, le prospettive Ikea, il segno Pelikan e le grafiche Tamoil, c’è tutto un insieme di autori con i controcoglioni che sfornano meraviglie».

Fumetti e digitale: che ne pensi?

«Non penso. Per il momento non è neanche un argomento».

Muore Moebius e per un giorno tutti si scoprono grandi appassionati o esperti di fumetti (soprattutto in Italia), poi silenzio totale… Come ti spieghi una cosa del genere?

«Non l’ho vissuta così, devo dire che Moebius era un vero maestro e le persone in quei giorni si sono fatte trascinare da una commozione sincera. Tutto sommato neanche facebook è stato poi tanto male. Anzi, grazie a tutto quel postare immagini e interviste e libri ho scoperto anche qualcosa che non conoscevo».

Oggi in Italia tutti si riempiono la bocca con la parola “graphic novel” nel tentativo di dare spessore culturale al fumetto (come se ce ne fosse bisogno). Personalmente credo che esistano fumetti belli, fumetti brutti e fumetti così così, e questo a prescindere dal fatto che si parli di comics, di graphic novel, di fumetti seriali o di “giornaletti”. Che ne pensi di questa moda delle graphic novel?

«È un termine puramente merceologico, non vuol dire nulla. Ma se serve a far arrivare meglio i fumetti in libreria è comunque sopportabile. C’è di peggio. Nella vita, dico».

L’ultimo bel fumetto che ti è capitato di leggere è stato…

«Jimmy Corrigan, the Smartest Kid on Earth».

Grazie a te a tutto il Collettivo DUMMY!

 

Ecco tutti i capitoli dell’intervista multipla al Collettivo DUMMY:

Alberto Ponticelli

Officina Infernale

Squaz

Akab

Tiziano Angri