Azzardo, la recensione di Maila Cavaliere del romanzo di Alessandra Mureddu pubblicato da Einaudi nella collana Unici.
- Titolo: Azzardo
- Autrice: Alessandra Mureddu
- Editore: Einaudi
- PP: 144
Lei lo chiama spesso libretto, con fare sbrigativo e liquidatorio, e non mi pare un vezzeggiativo affettuoso. Forse perché è un volume snello, forse per ridimensionare il dolore che contiene e che, materializzato e stretto tra le pagine di un oggetto minuscolo, può assumere finalmente connotati meno ingombranti, meno terrificanti.
Fatto sta che il libro di Alessandra Mureddu, Azzardo, uscito nella lungimirante collana di Einaudi, Unici, trafigge.
L’azzardo, in fondo, al di là del gioco e delle sue connotazioni, è una condizione che appartiene a tutti. E forse, se ci pensiamo, è l’unico modo che conosciamo per vivere. I francesi dicono “par hasard”, per caso. E il rischio, il caso, il destino o la fortuna, come dir si voglia, hanno in comune la loro irriducibile imprevedibilità.
Per caso
Si rimane profondamente colpiti dalla scrittura senza indulgenza di questo esordio narrativo, con la cattiveria di riconoscere solo il proprio vizio e nessuna solidarietà per quelli dell’altro.
Nel suo voyage à l’enfer c’è l’abisso monomaniacale del giocatore ludopatico e ci sono, ancora più che un prima e un dopo, un potenziale e un reale, il primo collocato fuori dal tempo della narrazione, l’altro pronto a occupare ogni spazio, a insinuarsi in ogni anfratto dell’ esistenza. In mezzo, la vita intera in mille pezzi.
Anche quando nel romanzo compaiono i colori, dei vestiti, delle tende, delle slot, hanno toni densi, pregni, coprenti, senza sfumature. Luccica solo l’oro di famiglia venduto per giocare ancora. Il resto è un abisso tetro di fragilità descritto in modo feroce.
In alcuni passaggi la scrittura di Alessandra Mureddu ricorda quella di Agota Kristof, tagliente, chirurgica, senza orpelli né possibilità di redenzione. In alcuni ritmi assomiglia al grunge dei Soundgarden e di certe atmosfere musicali degli anni ’90. How would I know/ That this could be my fate? (come posso capire che quello può essere il mio destino?).
L’ autrice percorre e allarga nella narrazione nuovi sentieri paralleli alle contraddizioni del gioco, come quelli del corpo di marmo e del corpo devastato, nascosto in una tunica nera, del riposo e dell’ insonnia, tormentata dal pensiero fisso, della relazione e della sessualità spenta e rinnegata e della solitudine affettiva, acuita dalla compulsione e dalla disistima.
Le nostre ossessioni
Azzardo racconta anche le ossessioni dei nostri anni che si prendono tutto quello che hai e lo infrangono, indaga sulle distorsioni del nostro tempo e, con una scrittura lucida e impietosa, lascia emergere il lato oscuro di ciascuno di noi. In fondo ognuno ha la propria addiction.
Il lettore sanguina, ferito a morte, per dirla con La Capria, perché avverte chiaramente che ludopatie, sociopatie, ossessioni e piccole compulsioni sono ontologicamente connaturate al nostro agire contemporaneo. Siamo vittime di ricerche esasperate e frustrazioni, l’ assuefazione quotidiana ai ruoli ci sfianca e ci abbrutisce, e questo libro, anche quando rappresenta un abisso apparentemente distante da noi, ci stana, ci colpisce.
Se lo leggerete non lo dimenticherete facilmente perché tutti, almeno di tanto in tanto “fell on black days”, precipitiamo in giorni bui.