El Bar di Alex De La Iglesia, la recensione di Silvia Gorgi del nuovo film del geniale cineasta spagnolo disponibile su Netflix.

Chicca nel catalogo Netflix la presenza di El Bar, l’ultimo lavoro di quel geniaccio di Alex De La Iglesia che, grazie a Dio o al suo angelo caduto, non ha perso il suo smalto.

La sua Comunidad si trasforma nella combriccola di El Bar dove i terrori, le paure, le piccole mestizie umane, ispirati da un’attualità bruciante, prendono forma.

Siamo in una piazza di Madrid: la bella parla al cellulare, la signora acquista le cipolle che lascia da pagare, il tizio con la valigetta esce dal taxi, e poi questi uomini e donne qualunque, si ritrovano nel bar di fronte.

Le attenzioni dei clienti e del barista si rivolgono all’avvenente donzella, comprese quelle dell’hipster, prima tutto intento a lavorare al suo computer, la signora, non più giovanissima, si attacca alle macchinette ruba soldi, le slot machine, dove ama passare il tempo, e tutto sembra scorrere come in una giornata qualsiasi, in un bar qualsiasi, di una piazza come tante.

Mentre la proprietaria tiene a bada il barbone del quartiere, fastidioso, ma innocuo, c’è chi esce e chi entra nel locale, ma che succede se uno dei clienti appena mette il piede fuori viene raggiunto da un colpo di fucile dritto dritto in testa? Panico.

La comunidad del bar, se ne sta bel bella dentro, terrorizzata, incredula, immobilizzata. E se un altro cliente non ce la fa, esce anche lui, e va a vedere per capire se riesce a dare una mano al presunto ferito, che è per la verità morto, e viene fatto fuori anche lui?

La condizione del gruppo di persone peggiora via via, divenendo una vera “discesa” agli inferi, o meglio una discesa, attraverso i tombini, nelle fogne della città. A condurre in uno stato sempre più basso i protagonisti della storia ci sono tutte le fobie dei tempi contemporanei.

E così, per dare una spiegazione a ciò che spiegazione non ha, si formano nelle menti dei protagonisti le ipotesi più disparate, e disperate, possibili, dal terrorismo, all’ebola, ma è la paura in sé, spietata e rivelatrice, che prende possesso di loro, li fa dubitare l’uno dell’altro, li conduce al massacro.

Tutto avviene in maniera estrema, irriverente, e a tratti horror trash, come nel puro stile De La Iglesia, pulp all’ennesima potenza. Il groviglio fra le storie e i passati dei protagonisti, tessuto con grande efficacia e intelligenza dal maestro spagnolo, è intrecciato a suon di battute riuscite, che hanno divertito, lo scorso febbraio, il pubblico della Berlinale, nella sua sessantasettesima edizione, dove l’abbiamo visto per voi in anteprima, e fan toccare al film punte da commedia nera.

Surreale e grottesco, con un ritmo incalzante, scorre via nelle due ore di girato, con grande divertimento, ed è al ruolo del barbone che l’autore affida la mistificazione della trama. È lui la coscienza nera del gruppo, con le sue citazioni dal Vangelo, mentre la morale nell’animo dei protagonisti si van via via affievolendo, e i veri istinti, quelli più nascosti e profondi, emergono e li dirigono nelle loro scellerate scelte.

Per fortuna, che dopo il riuscitissimo Balada triste de trombeta (2010), Le streghe son tornate (2013) – che in parte mostrava le corde circa i temi e le ossessioni del regista – passando per Messi – storia di un campione (2014) e Mi gran noche (2015), Alex riconferma tutto il suo dissacrante talento.

Prodotto dallo stesso regista insieme a Kiko Martinez, e dalla moglie Carolina Bang, in genere sua Musa ispiratrice e attrice feticcio, El Bar ha riempito le sale in tutte le proiezioni della rassegna cinematografica berlinese, accompagnato dal suo regista e da due degli attori del film corale: la bellissima Blanca Suárez e Mario Casas, l’hipster dello schermo, che peraltro fu collocato qualche anno fa al primo posto nella lista degli attori spagnoli più sexy.

Ispirato a Distretto 13 di John Carpenter nel De La Iglesia mood, non ha trovato distribuzione italiana: troppa ironia dissacrante? Ma grazie a Netflix è possibile recuperarlo.

Perché vederlo: per esorcizzare le proprie paure.

Scena Cult: la ragazza in reggiseno e reggicalze che per entrare nel tombino viene spalmata di olio da cucina da due dei maschi del gruppo.