Bastarden, la recensione di Matteo Strukul del film di Nikolaj Arcel in concorso all’80a edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Nel mio personalissimo cartellino – per dirla con il grande Rino Tommasi – il film che mi ha gasato a dismisura in questa ottantesima Edizione della Mostra del Cinema è arrivato già alla seconda sera: mi riferisco a Bastarden di Nikolaj Arcel. Un film europeo, danese per essere precisi, (coprodotto da Zentropa Entertainments con Germania e Svezia) una perla che mi ha salvato la giornata, dopo il brutto film di Michael Mann su Enzo Ferrari.
- Photo by Andrea Andreetta
Siamo a metà del diciottesimo secolo e il capitano in pensione Ludvig Kahlen – uno straordinario Mads Mikkelsen che meriterebbe la Coppa Volpi senza “se” e senza “ma” – ha intenzione di bonificare e coltivare per conto del re la brughiera dello Jutland, regione del reame da tutti considerata selvaggia e arida. Eppure, il capitano ha un piano e un po’ alla volta, autorizzato dal sovrano e sventati gli assalti dei briganti, si dedica giorno e notte al proprio obiettivo.
Non ha però fatto i conti con il signore del luogo, il viscido e spregevole Frederik De Schinkel, magnificamente interpretato da Simon Bennebjerg, il quale impiegherà ogni mezzo per impedirgli di coltivare una terra che egli ritiene gli spetti di diritto. Per farlo, non mancherà di invocare la violazione della legge dal momento che il capitano ha dato asilo a due suoi servi fuggiti dal suo palazzo, una dei quali è la giovane Ann Barbara, un’intensa Amanda Collin.
Un film epico
Toni epici – fra I Duellanti e Gli Spietati – avventura, principi, ambizioni e improvvise esplosioni di violenza, una regia forte e personale, le immagini simili a grandi quadri della scuola fiamminga o scandinava, da van Valckenborch a Balke e Thaulow: tutto funziona a meraviglia in Bastarden. Per non parlare della fermezza irriducibile con cui il capitano affronta le prove che la meschina violenza di De Schinkel gli propone e l’evoluzione affascinante delle figure femminili, su tutte le due donne che scelgono di stare al fianco del capitano, la già citata Ann Barbara e la piccola zingara Anmai Mus.
Il film è tratto dal romanzo Kaptajnen og Ann Barbara di Ida Jessen e non sorprende affatto, vista l’eleganza composta, la cura storica della ricostruzione, il rigore formale, l’approfondimento dei caratteri e la completezza del mondo narrativo che caratterizzano questa vicenda così ben scritta e raccontata. Al contempo, Anders Thomas Jensen e Nikolaj Arcel hanno saputo conservarne i tratti e svilupparne gli snodi, realizzando un adattamento che esplora ancora di più la Danimarca fredda, dolente e spietata di metà Settecento.
Un film da premiare
Bastarden ha poi qualcosa in comune con Le illusioni perdute di Xavier Giannoli, (dall’omonimo capolavoro letterario di Balzac) anche qui come lì, infatti, le aspirazioni e le ambizioni perseguite a ogni costo portano dolore, compromessi disonorevoli e sofferenza per condurre infine a un nuovo punto di partenza con una consapevolezza diversa.
In Bastarden, però, c’è una violenza più fisica, improvvisa, estrema, una spietatezza che, complice l’epoca narrata, rimanda direttamente a certe sceneggiature di David Webb Peoples da una parte e alla regia di Clint Eastwood e Ridley Scott dall’altra.
Un film che, per equilibrio e bellezza, meriterebbe sicuramente di andare a premio. Incrociamo le dita.