Bea Vita! Crudo Nordest presenta un repertorio di esistenze bruciate dalla velocità di una corsa sfrenata che termina contro un muro
Titolo: Bea Vita! Crudo Nordest
Autore: Romolo Bugaro
PP: 99
Editore: Laterza
Prezzo: Euro 9.50
Si drappino i destrieri di verde, s’alzi l’egida fregiata dal sole padano, si risalga il corso del serpeggiante Eridano per onorare l’antico rito dello sposalizio delle acque, s’onori il sommo Trota, degno discendente di una stirpe guerriera e orgogliosa.
Perché tutto questo? Se avete letto la pagina culturale del Gazzettino di qualche tempo fa magari lo potete supporre. La virtù padana, il sempiterno valore del nordest, primo e unico motore d’Italia, è stato intaccato dalle fandonie razziste della fiction poliziesca che possiede il nome di (sic) “Distretto di Polizia”.
In tale prodotto minore dell’ingegno ecco che l’invidia dei figli di Enea ha trovato il modo di ingiuriare tutti noi raffigurando un agente della Polizia di Stato proveniente dal nord non già come indefesso lavoratore, ingegnoso homo faber o prode difensore dell’Italia tutta (o quasi tutta) ma bensì, come nella più trita e becera tradizione caricaturistica della commedia italiana, come un imbelle tontolone propenso alla mediocrità professionale.
Paladino dell’onore della mia gente, di noi padani dal sangue puro, non è nient’altri che il governatore del Veneto in carne e corna (quelle vichinghe sull’elmo, s’intenda), sommo rappresentante in terra del nostro priapico auto-incoronato leader.
Che sfregio, che onta, che vile attacco dissennato e… che due palle! Veramente raga. Siete fuori. E io sono un esperto di gente fuori.
Mi chiedo se qualcuno si stia rendendo conto in cosa si sta trasformando il nord-est. No, non è neppure una questione di trasformazione, è proprio una faccenda esistenziale bella e buona.
Che cos’è il nord-est? Chi sono le persone che ci vivono? Come sono fatti? Come sono messi? Chi lo sa alzi la mano. Io di certo ne sono un figlio indegno, la mia biografia ne è una lampante prova, quindi mi esimo dal dar risposte… ma se vi dicessi che uno di coloro che ha alzato la mano alla mia domanda è un avvocato Padovano classe ’62 che porta il nome di Romolo Bugaro, forse anche qualche strenuo coraggius delle schiere di Alberto Da Giussano potrà prestare orecchio alle sue parole se ne ha il tempo, la voglia, la forza, l’onestà intellettuale.
Guardarsi dentro fa male quando si hanno tanti e tali fantasmi con cui confrontarsi. Persino il personaggio caricaturale di una mediocre fiction può far saltare la mosca al naso. La permalosità nasconde sempre qualcosa che non funziona, una sorta di crisi. Eh già qui da noi c’è la crisi, ma non è una crisi solo economica.
Magari lo è stata all’inizio ma poi è diventata qualcosa di più profondo e intimo che ha scoperchiato le antiche bare sepolte sotto ettari di orgoglio malriposto. L’avvocato Bugaro però è uno che ci guarda dentro quelle bare e lo fa da un bel po’. Lo fa ad esempio in Bea Vita (Crudo Nordest), uscito per la collana Contromano di Laterza la scorsa primavera.
Qualcuno sa quanto odio i sintagmi preconfezionati ma mi verrebbe proprio da dire che Bea Vita è un agile libello di neppure cento pagine. La misura dell’agilità però può variare da individuo a individuo.
Io me lo sono letto sotto l’ombrellone, quest’estate. Mi ci sono voluti appena due spritz per finirlo e più ne scorrevo le pagine più un senso di deja-vu mi sfiorava.
Nel libro di Bugaro ci sono persone che ho già visto in giro, proprio da queste parti. Ci sono storie che conosco, che vedo. La vita di mio padre, di qualche mio paròn, di qualche mio amico o ex-morosa.
Bugaro non spiega, non fa un’arringa ma anzi presenta, attingendo da episodi della sua vita personale un repertorio di esistenze bruciate dalla velocità di una corsa sfrenata che inevitabilmente, quando termina, probabilmente lo fa contro un muro.
Bugaro ha un occhio privilegiato per osservare il torniturante agitarsi dei nostri corregionali e no, non perché sia un avvocato ma perché, confessa lui stesso, parte da quella terribile condizione esistenziale che lui chiama del non-inserito.
Non a caso Bea Vita si apre con una sorta di inno generazionale che, forse per snobismo giovanile, non pensavo potesse appartenere ai coscritti di Bugaro, e cioè Creep dei Radiohead il cui refrain ripete “I don’t belong here”, io non appartengo a questo posto.
Ora, mi taccio su una polemica che mi sta marcendo in gola sul rifacimento di Vasco Rossi di tale pezzo, in quanto osare solo muovere una mezza critica a Vasco, di questi tempi per i miei lettori è come bestemmiare in chiesa, e con un sospiro impotente tiro innanzi.
Anche Bugaro non apparteneva, da sedicenne a questo posto. Anche se fa l’avvocato, è comunque uno scrittore e se sei uno scrittore nel nordest, se sei uno scrittore bravo, sei un non inserito per definizione.
Puoi far finta di avere una vita normale, amicizie, feste, morose, puoi persino farti una famiglia ma dentro di te sentirai sempre quel verso della canzone dei Radiohead maldestramente rifatt… no, dai, non si può dire. Dentro di te, figlio illegittimo della terra del lavoro e della velocità, guarderai sempre gli altri.
Dapprima, da giovane, in modo divertito e sarcastico, poi sempre più impotente, alla fine, credo, quasi con la percezione di una tragedia imminente o in quella terribile consapevolezza di camminare in una terra di uomini vuoti, uomini impagliati che, citando Eliot, si appoggiano l’uno all’altro con la testa piena di paglia.
Eppure, ci dice Bugaro, i protagonisti del suo libello sono proprio loro. Citandone una frase essi sono gente che “crede nel denaro e nella possibilità del successo per chiunque sia disposto a sacrificarsi, chi trova sostanzialmente giusto l’ordine delle cose. […] Sono loro, i favorevoli al mondo, i protagonisti di questo libro”.
Eh sì. Sono loro, le impiegate che sognano i vestiti di Prada nelle vie del centro di Padova, i professionisti che bruciano la propria vita con ritmi serrati di lavoro per poi ritrovarsi privi di tutto, i grandi imprenditori investiti dalla crisi che, visti privati di tutto ciò che avevano, ricorrono all’estrema soluzione.
I ritratti che ci fornisce Bugaro sono illuminanti, semplici e terribilmente veri. Il suo sguardo non è polemico né critico. E’ lo sguardo apolitico di un osservatore che una volta forse era arrabbiato mentre ora è solo intimamente addolorato e quasi partecipe del fallimento collettivo di un’idea di comunità che non ha fatto altro che spegnere la ragione vitale prima. E credo sappiate tutti cosa genera il sonno della ragione.
Agli strenui difensori del povero poliziotto tontolone, dico di leggersi Bea Vita. Sì, noi non siamo così, non siamo per nulla dei bonaccioni caricaturali. Forse siamo peggio di così e io mi ci metto in mezzo. D’altronde anch’io sto lavorando come un mulo senza pensare a nient’altro per avere lo stesso cachet di Ammaniti.
E vi devo dire la verità: vuoi mettere arrivare in piazza Mirano da scrittore di successo con una porche e una bella ragazza per le mani?
Purtroppo sì, ho capito quel giorno al mare, leggendo Bugaro. Purtroppo Bea Vita parla anche di me.
Brutti virus si prendono da ‘ste parti.