BEETLEJUICE BEETLEJUICE: una grande apertura di Mostra firmata da Tim Burton. La recensione di Matteo Strukul per SUGARPULP magazine.
E chi se lo aspettava un ritorno del genere? Tim Burton apre nel modo migliore possibile l’ottantunesima edizione della mostra del Cinema di Venezia con il più improbabile dei sequel che però è godibilissimo e intelligente. D’altra parte, sono tanti e tali i personaggi che compongono il suo immaginario che mai mi sarei atteso che proprio allo spiritello porcello venisse data un’opportunità del genere.
Tanto più se consideriamo che il film precedente usciva nel 1988, quindi trentasei anni fa. Non proprio ieri. In verità questa pellicola era nel back burner di Burton da un po’ di tempo se è vero che uno dei soggettisti e produttori esecutivi del film è il mai abbastanza lodato Seth Grahame-Smith, autore per il quale nutro una quasi venerazione, uno talmente dentro all’horror da concepire romanzi, e poi film, come ORGOGLIO E PREGIUDIZIO ZOMBIE e ABRAMO LINCOLN, CACCIATORE DI VAMPIRI, giusto per dirne due.
Una scrittura solida
Insomma, la prima cosa che salta all’occhio è la solidità di scrittura del film perfettamente integrata all’iconica estetica di Tim Burton che in Beetlejuice Beetlejuice si ricorda di essere uno dei più grandi artisti del secolo scorso, almeno a detta di chi scrive. Vero è che negli ultimi anni DARK SHADOWS e DUMBO mi avevano lasciato freddino anche se la miniserie tv di MERCOLEDÌ aveva spaccato di bruttissimo.
A ogni modo se la storia non è certo la faccenda più originale del mondo – scambi fra vivi e morti nei rispettivi regni con discese e risalite allo scopo di salvare o sposare qualcuno – sono invece il tono con cui è scritta, squisitamente divertente, i colpi di scena – Danny de Vito che interpreta un picaresco usciere o la bizzarra faccenda del Soul train per esempio – e il ritmo ben calibrato a renderla avvincente.
Se a questo aggiungiamo le favolose musiche di Danny Elfmann e la galleria di personaggi grotteschi e affascinanti allora Beetlejuice Beetlejuice diventa un film molto ben riuscito. E a proposito di personaggi: inutile dire che la sequenza in cui Monica Bellucci è rediviva e reincarnata in una sorta di SPOSA CADAVERE con tanto di parti tenute insieme da graffette di ferro vale da sola lo spettacolo.
Un film a trazione femminile
Ma invece ci sono anche le ossessioni di Wolf Jackson uno scatenato Willem Dafoe, le indecisioni e le fobie della protagonista Lydia Deetz – una strepitosa Winona Ryder – la mitomane madre di lei, Delia, interpretata da Catherine O’Hara caustica e brillante come non mai, e la scontrosa e ribelle Astrid, figlia di Lydia, che ha il volto di Jenna Ortega – Mercoledì, ve la ricordate? – che ha molto probabilmente il compito di gettare un ponte fra passato e nuove generazioni di potenziali fan di Tim Burton e che, a dirla tutta, è proprio brava.
Insomma, un film a trazione femminile, con Monica Bellucci a svettare in bellezza e perfidia, lei che in BEETLEJUICE BEETLEJUICE: è una succhia-anime, in cui perfino lo spiritello Michael Keaton – qui meno sboccato che in passato – sembra fare un passo indietro, lasciando la scena al quartetto femminile, anche se le sequenze che lo vedono protagonista sono fra le più riuscite del film.
Un artista visionario
Infine, qualche parola va detta per Tim Burton, un artista che ha saputo plasmare un immaginario potentissimo e coerente con film di culto quali EDWARD MANI DI FORBICE, BATMAN e BATMAN IL RITORNO, i migliori due film dedicati all’uomo pipistrello senza dubbio, A NIGHTMARE BEFORE CHRISTMAS, autentica meraviglia in stop motion, EE WOOD, IL MISTERO DI SLEEPY HOLLOW, giusto per citare i più importanti.
Un immaginario capace di fondere cinema, animazione, fumetto, arte visionaria, pittura, spesso avvalendosi della scrittura di grandi romanzieri, Washington Irving, per esempio, fra i più importanti scrittori horror americani di sempre o ancora, come nel caso di questo e del precedente BEETLEJUICE, di Michael McDowell, autore de GLI AGHI D’RO e della saga in sei parti di BLACK WATER, uscita da Neri Pozza l’anno scorso per la prima volta in Italia.
E questa, se permettete, è una chicca pazzesca. Anzi, adesso, avete un motivo in più per leggerla.