Ben-Hur, firmato da Timur Bekmambetov, convince e vale il prezzo del biglietto. La recensione di Matteo Strukul per Sugarpulp Magazine.
Ben-Hur: in molti, tanto per cambiare avevano stroncato questo film. Ma la critica cinematografica si sa, oggi, ha sempre meno senso. Lo dico con tristezza, constatando quanto ormai gli “esperti” uniformino i propri giudizi sui film in una sorta di pensiero unico che li porta a magnificare porcate come The Witch o noie infinite come The Assassin e a massacrare un film ben girato, ben scritto e recitato come questo.
Tutti a dire che non reggeva il confronto con la versione di quasi quattro ore di William Wyler che vinse undici oscar, consacrando Charlton Heston come star assoluta, un film che, a onor del vero, almeno secondo me, è una palla pazzesca, quasi quattro ore con un ritmo lentissimo da bolla al naso.
Ecco, la prima cosa che ti colpisce di questa nuova versione, tratta dal grande classico della letteratura di Lew Wallace, girata da Timur Bekmambetov, è il ritmo narrativo: molto più serrato, rapido, con una storia che non si perde in inutili digressioni o sotto-trame ma che va invece dritta al punto e che beneficia di un’ottima scrittura. Non a caso, a firmare la sceneggiatura, oltre a Keith R. Clarke, c’è quel vecchio arnese di John Ridley, premio oscar, uno che – come dice giustamente il mio amico Fabio Migneco – è il perfetto autore Sugarpulp. Se non ci credete andate a leggervi Cani randagi e poi magari guardatevi U – Turn di Oliver Stone con Sean Penn e J Lo, film tratto dal romanzo.
Questo per dire che la scrittura è sufficientemente tesa, pulita, intelligente, con dialoghi mai banali e una progressione drammaturgica ineccepibile.
A questo aggiungerei costumi magnifici, scenografie efficaci e attori assolutamente in parte, con una menzione speciale per Jack Huston che, per una volta, interpreta una figura di protagonista ben tratteggiata: il suo antieroe non ha nulla di convenzionale, scontato o banale. Ben-Hur non è certo un gladiatore di Scottiana memoria ma un giovane intelligente, riflessivo, disposto a combattere per avere giustizia fino a quando quest’ultima non trascolora in vendetta che però lascia solo l’amaro in bocca e in un istante se ne va. Il carisma c’è tutto, la recitazione anche e quella sorta di fuoco freddo che anima Giuda Ben-Hur è la miglior contrapposizione possibile all’inquietudine appassionata e corrusca di Messala Severo, interpretato da un ottimo Toby Kebbel.
Se, arrivati a questo punto, fate girare il tutto a un regista con quattro quarti di nobiltà artistica come Timur Bekmambetov allora il film c’è tutto ed è davvero buono. Già la sequenza delle bighe vale da sola qualche euro ma se aggiungete la battaglia navale nel mar Ionio con una costruzione a dir poco SPETTACOLARE allora il film vale il biglietto. E del resto se prima di questo film hai girato Wanted e Abraham Lincoln: Vampire Hunter è chiaro che l’action è il tuo pane.
In questo senso, però, il regista kazako presta la propria classe cristallina a un film che si rifiuta di indulgere sempre e solo sulle sequenze adrenaliniche e dirige invece una pellicola davvero buona, che ha mordente, ritmo e equilibrio e che è però in grado di prendersi tutto il tempo per approfondire in modo intelligente i personaggi, e ce ne sono un bel po’, come lo sceicco Ilderim che ha il volto e la profondità composta di Morgan Freeman o la splendida figura femminile di Naomi, madre di Ben-Hur e Messala, una splendida Ayelet Zurer, attrice che abbiamo visto di recente in Daredevil ma che ha una carriera lunga un chilometro.
Insomma, Ben-Hur funziona, è davvero un buon film e in tempi di magra come questi dove passano solo boiate come Suicide Squad o X – Men: Apocalypse un film del genere vale doppio.
Girato fra Matera e Roma, a Cinecittà, questo nuovo Ben-Hur, firmato da Timur Bekmambetov si fa apprezzare per misura e coerenza d’insieme, senza rinunciare a lampi action semplicemente spettacolari.
Andatevelo a vedere perché passerete due ore divertenti, ve lo dice uno che non capisce la critica e che vorrebbe più pellicole pensate per il pubblico pop, per la gente normale: quella che non se la tira con le menate incomprensibili e i piani sequenza da venti minuti ma che nemmeno gode come un pazzo all’ennesimo cine-comic per ottenni, scritto da una banda di sceneggiatori schiavi degli studios.