Big hero 6, ispirato all’omonimo fumetto Marvel inedito in Italia, nonostante il classico impianto buonista da film natalizio Disney, trasmette un senso di inquietudine

Parli di futuro e ti vengono subito in mente gli alieni di Star Wars, la tecnologia di Star Treck, l’odissea in altre dimensioni di Star Gate.

Sicuramente, il campo delle ipotesi legato agli anni avvenire è da sempre terreno fertile per registi e sceneggiatori, pronti a immaginarsi con vivremo nel duemila e qualcosa. E al lungo elenco di chi ci ha messo la firma su film simili, non poteva certo mancare la Disney.

Big Hero 6, la recensione

Certo, il celebre marchio hollywoodiano non è da ieri interessato a questo mondo. Già con Wall-E aveva proiettato gli spettatori in un futuro grigio e desolato, ma recentemente ha deciso di colorarlo un po’ per far nascere Big Hero 6 (2014), diretto da Don Hall e Chris Williams e, ovviamente, cartone animato in tipico stile disneyano. Uscito nelle sale cinematografiche nel periodo natalizio, non va però sottovalutato.

Ispirato al fumetto omonimo della Marvel, il film è ambientato a San Fransokyo (unione di nome e di fatto di Los Angeles e Tokyo) racconta di Hiro Hamada, adolescente-genio-ribelle con una “malsana” mania per i combattimenti illegali di robot.

Nonostante abbia solo 13 anni, è un fenomeno con la tecnologia ma è suo fratello Tadashi quello con la testa a posto tra i due. Orfani da tempo dei genitori, i ragazzi vivono con la zia Cass, proprietaria nevrotica di una caffetteria ma piena di attenzioni per la sua famiglia.

Big Hero 6, la recensione

Una sera, Tadashi porta il fratello a visitare la sua università, un luogo d’élite per nerd incredibilmente geniali. Qui Hiro conosce i quattro amici di Tadashi e, soprattutto, Baymax: l’ha progettato il fratello come operatore medico, “per aiutare molte persone”.

Con la sua cordialità umoristica e le goffe sembianze paffute, il robot strappa subito una risata al ragazzino. Prima di uscire dall’università, quest’ultimo incontra anche il professor Robert Callaghan: sarà lui a convincerlo definitivamente a iscriversi in quel luogo fantastico.

Per accedervi, però, Hiro deve creare qualcosa di assolutamente nuovo e presentarlo a una fiera. Ecco allora i Nanobot, minuscoli e milioni di robottini che si uniscono e disgregano attraverso la telepatia!

Un’invenzione stupefacente che gli apre le porte della scuola ed attira l’attenzione di Alistair Krei, noto affarista e disposto a comprarla immediatamente. Ma Hiro rifiuta, uscendo con gli amici dalla fiera, e poco dopo un incendio devasta il palazzo. Tadashi corre dentro per salvare il professore Callaghan ma in quel momento tutto esplode, lasciando il 13enne da solo.

Un giorno  ritrova Baymax in camera sua e, per caso si ritrova insieme all’omone metallico in un buio magazzino abbandonato. Qui scopre che i suoi Nanobot esistono ancora, non sono andati distrutti nell’incendio, e un misterioso individuo mascherato lo attacca.

Fuggito grazie all’aiuto dell’amico cibernetico, da lì in poi sarà una caccia all’uomo per sapere la verità su quella sera, vendicare il fratello, grazie all’aiuto di Baymax e dei compagni universitari.

Nomi fantascientifici e leggi fisiche ai confini del reale sono il pane quotidiano per questa pellicola. Sullo sfondo di una città immensa, comprendente due mondi lontani come sono quello giapponese e americano ma alla fine complementari, i sei protagonisti intraprenderanno una lotta dura e densa di significati contro quell’oscura figura e non solo.

Big Hero 6, la recensione

Si potrà criticare questo nuovo titolo per vari aspetti: è la solita frittata buonista di sentimenti e morale disneyana, alla fine tanto vincono sempre i supereroi, il finale è un po’ banale…

Ma a scavare nell’animo del giovane protagonista c’è tanta umanità da scoprire e con cui immedesimarsi. Perché la sua furia cieca contro chi è il responsabile della morte del fratello è al quanto condivisibile e mette a disagio.

Un profondo senso d’inquietudine, esperienza che non conosce passato o futuro ma solo presente.