BIRD, la recensione di Silvia Gorgi del film di Andrea Arnold presentato in concorso alla 77esima edizione del Festival di Cannes.

BIRD di Andrea Arnold è un ritratto adolescenziale lirico che fotografa una difficile realtà con un tocco di fantasy per dare a un’esistenza senza speranza la magia del sogno.

La regista britannica, immerge lo spettatore nella periferia inglese del Kent, a sud-est di Londra, per seguire le vicende della sua protagonista: la dodicenne Bailey (Nykiya Adams, prova molto convincente per il suo esordio).

Arnold, che torna qui in concorso ufficiale dopo essere stata membro della giuria a Cannes nel 2012, presidente della giuria della Settimana della Critica nel 2014, e pure di quella di Un certain regard, nonché vincitrice del premio della Giuria con RED ROAD, FISH TANK E AMERICAN HONEY, porta sullo schermo una certa radicalità che sa sapientemente mixare a un tocco di poesia.

Una storia di periferia

La giovane Bailey vive in uno squat con un giovanissimo padre (il sempre bravo Barry Keoghan, DUNKIRK, KILLING THE SACRED DEER, SALTBURN), spacciatore di droga, super infantile, tutto preso a organizzare il suo matrimonio con una ragazza conosciuta da pochi mesi, mentre il fratello Hunter (Jason Buda), che fa parte di una gang, ha messo incinta la sua ragazza.

La madre di Bailey, invece, vive a poca distanza, insieme agli altri tre fratelli della ragazzina, sorta di maschiaccio, con un uomo violento.

A dare luce alle giornate di Bailey, che non sono dedicate allo studio e alla crescita, ma a vagare nello squat, con, come unici momenti di respiro, quelli in cui la ragazzina si perde nell’ammirare la bellezza della natura, arriva un personaggio molto particolare: Bird, un giovane uomo che sembra uscito da un altro mondo, strano e affascinante insieme (Franz Rogowski, LUDO, FREAKS OUT, anche lui molto convincente), che metaforicamente l’aiuterà a spiccare il volo e a cercare di sfuggire al destino sociale cui sembra destinata, e anche a riconoscere l’affetto strampalato ma comunque presente nella figura paterna.

Tra realtà e fantastico

Con la macchina da presa a mano, uno stile naturalistico che caratterizza la regista, e una colonna sonora punk, con punte di rock e hip hop, Arnold descrive, in modo quasi da documentario, un microcosmo, quello della classe dei sottoproletari in cui chi grida e picchia più forte ha la meglio, un sistema sociale allo sbando, crudo e perso, in cui, nonostante tutto, c’è un barlume di speranza, e i sentimenti, quelli veri, d’amore e affetto possono anche trovare una via.

Con qualche scena anche comica – quando Bug e i suoi amici debosciati cantano YELLOW dei Coldplay – Bird vira poi sul fantastico, compiendo una vera e propria effrazione lirica per permettere alla sua storia librarsi in volo, finalmente libera.