Variazioni cromatiche: Blade Runner di di Ridley Scott compie 40 anni. Un’occasione o per riflettere sul ruolo della tecnologia nelle vite umane, tra farsa e intensità.

Nel 1982 esce nelle sale cinematografiche il film d’autore che ha coniugato numerosi generi cinematografici, all’interno del medesimo lungometraggio; oggi, all’alba del 2022, si pone l’occasione preziosa per riflettere sull’importanza del cinema, della narrazione, della recitazione, e di molte altre cose.

Se si vuole muovere dalla matrice testuale, lo scrittore statunitense Philip Dick pubblica Ma gli androidi sognano pecore elettriche / Il cacciatore di androidi nel 1968 (in Italia con Fanucci), denso romanzo fantascientifico, pieno di idee, nonostante non si possa definire un volume mastodontico, anzi; ciò è tipico delle narrazioni di quegli anni.

Gli autori di fiction infarcivano i loro romanzi di trovate davvero notevoli, circostanza che ora viene invidiata o addirittura elusa da parte degli scrittori contemporanei, a corto di intuizioni. Si può affermare che la narrativa di Dick sia caratterizzata da difficoltà interpretativa, se non anche da uno stile astruso, secondo i detrattori; l’abilità di Scott e degli sceneggiatori permette allo spettatore di cogliere nuclei gnoseologici, che ora verranno brevemente esaminati.

Los Angeles, 2019

Ambientato a Los Angeles nel novembre del 2019 (!), si può certo affermare che Blade Runner sia ormai un film storico – nel senso che documenta a modo suo un anno già trascorso – benché il film, come detto, risalga agli anni Ottanta del secolo scorso; simile discorso si potrebbe applicare a Orwell e 1984.

Come noto, Rick Deckard, interpretato da Harrison Ford, è incaricato dal suo vecchio datore di lavoro, capo della polizia, di ritirare alcuni replicanti in fuga, ritenuti pericolosi; Deckard è un uomo silenzioso, il quale ha perso qualsiasi interesse nei confronti della vita. Sarà la vicenda filmica a indurlo a svolgere alcune considerazioni: per cominciare, avrà l’occasione di cambiare la propria visuale, rispetto al cono d’ombra che è stato gettato sui luoghi che lui è solito frequentare.

Non a caso, il lavoro estetico svolto dal comparto tecnico è impressionante, e la critica cinematografica si è soffermata poco su tale punto: la città è imponente e vagamente mistica. I grattacieli si stagliano in maniera contraddittoria, rassicurante eppure ineffabile allo stesso tempo; lo ziggurat della Tyrrell Corporation rimanda, ad esempio, al fatto che all’interno risiede una potente divinità, un vero e proprio facitore di vite.

La stazione di polizia assomiglia a una fermata della metropolitana e gli esponenti delle forze dell’ordine provano tra di loro un sentimento di attrazione / repulsione (anche questa dinamica è molto moderna e applicabile a qualsiasi luogo di lavoro). L’ampio appartamento in cui vive il protagonista è invaso da una luce fastidiosa, che tuttavia viene trattenuta dalle serrande abbassate; i ghirigori presenti sulle pareti (il rinvio è all’architettura della celebre Ennis House di Frank Lloyd Wright), così come i motivi della camicia e della cravatta di Deckard, costituiscono creative variazioni geometriche che ricordano allo spettatore il senso dell’imprevedibile ruolo dell’immaginazione: la fantasia (umana o androide) non può essere soffocata nemmeno da una città tetra e intimamente morta.

I colori sono numerosi, molto più che nelle cromie minimaliste dell’oggi; la tecnologia è all’avanguardia e al contempo ridicola, proprio – di nuovo – come oggi. I personaggi indossano orologi Microma digitali, che ricordano gli odierni smart watch. Al contempo, la musica jazz e altri bizzarri anacronismi pervadono l’aria. Sono presenti i quotidiani cartacei, e indumenti eleganti nel taglio (impermeabili, completi, cravatte, cinture di pelle; scarpe con i tacchi, acconciature elaborate, eccetera), eppure malinconici e sottotono quanto ai colori, che appartengono alla variazione del sottobosco.

Essere umani

Le relazioni sono particolarmente affascinanti, sia nella narrazione di Dick che di Scott; il superuomo (Roy Batty / Rutger Hauer) è colui il quale è capace di pensiero e azioni al di là delle umane possibilità, e paga il prezzo di questa capacità.

A seguire, anche gli altri replicanti sono individui sofferenti per il loro spreco di talenti; per di più, percepiscono il tempo che sfugge tra le dita, senza poter fare alcunché in proposito. Il detective si innamora di una super-umana (la replicante Rachel, lady affascinante e riservata), proprio perché sa che dal genere umano non può più trarre alcun beneficio.

In conclusione, ci si pone un quesito fondamentale: è possibile intrattenersi, mentre si specula, oppure si effettua filosofia del vivere? La risposta è positiva, ma è la domanda a non essere poi così scontata. Il fatto che la soluzione ai grandi dubbi si debba rinvenire in luoghi e tempi certi è tipico del metodo culturale e scientifico; tuttavia, è anche vero che gli impulsi artistici riescono spesso a sciogliere nodi ontologici a una velocità impensabile per altre branche.

Per approfondimenti sociologici su Blade Runner, si vedano i contributi sul punto di Antoniazzi, Pagetti, Frasca, Carmi, Cimmino, Clericuzio e Pangaro; buona visione.