Bones and all, la recensione di Silvia Gorgi del film di Luca Guadagnino in concorso alla 79a Mostra del Cinema di Venezia.
Una sequenza iniziale che spiazza lo spettatore, e lo fa entrare subito nella dimensione, quella cannibale, dei suoi protagonisti: un racconto di formazione, a tratti horror, con una dimensione thriller, ma pure una commedia romantica e un road movie. Luca Guadagnino riesce a unire tutto ciò sapientemente, mettendo in scena, con grazia, una storia d’amore sui generis.
Bones and all è una pellicola coraggiosa che potrebbe essere amata anche dal pubblico delle ragazzine e dei ragazzini per l’amore struggente che è centrale nella sua trama. +
Amore cannibale
Tratto dal romanzo dell’americana Camille DeAngelis, pubblicato nel 2015, libro che subito ha conquistato il pubblico – il regista ha dichiarato d’esserne rimasto immediatamente folgorato – ci racconta la storia di Maren Yearly (Taylor Russell), una diciottenne, alle prese con l’accettazione di sé, di quello che è veramente, e che fino ad allora aveva cercato di nascondere: una cannibale.
In questo viaggio di conoscenza di sé, dopo essere stata abbandonata dal padre, la ragazza si sposta di città in città alla ricerca delle sue radici, incontra una serie di personaggi bizzarri, il primo, Sully, un cannibale che in qualche modo la inizia a questo mondo (Mark Rylance molto convincente) sarà un fil rouge all’interno della trama, a rappresentare un mondo adulto, deviato e pericoloso, con cui Maren dovrà subito confrontarsi.
In questo percorso di formazione che man mano le farà capire meglio chi è, di cosa ha bisogno, e cosa vorrà essere, e che le farà capire anche i limiti da non valicare, incontra pure l’amore, per un ragazzo che come lei appartiene a questa strana comunità, il coetaneo Lee (Timothée Chalamet).
Un racconto mai scontato
Il racconto cinematografico di Bones and all non è mai scontato, non si fa mai stereotipo di genere, anzi viene condotto con intelligenza e ironia, Guadagnino non banalizza i suoi “mostri”, ma ne fa personaggi complessi, giocando con i generi, rovesciando le aspettative, e lasciando allo spettatore anche un’idea universale, quella di come si finisce per nutrirsi delle persone che amiamo.
Una sorpresa questo Guadagnino che tesse un puzzle esistenziale con eleganza, accompagnando lo spettatore in questo road movie, in cui i suoi due giovani amanti si confrontano con le loro identità da accettare, con sogni da superare, e si uniscono per far fronte a quello che c’è là fuori, Maren e Lee, diversi ma uguali nella dimensione del loro dramma (una chicca l’interpretazione della madre di Chloë Sevigny).
La loro gioventù, la loro spinta vitale, che il regista sottolinea anche con vestiti cangianti, è la forza romantica della pellicola. Così le scene più shock, legate al cannibalismo, sono solo parte di un racconto in cui a essere mangiata o lacerata è l’anima di questi giovani, alla ricerca di un posto nel mondo. Nella loro dinamicità, con la loro energia verso una vita che pulsa, come il sangue nelle vene, i suoi due protagonisti vibrano nell’aria, corrono, scappano, si cercano: un coming of age scritto con una chiave originale, in cui Guadagnino si innova, ma mantiene anche il suo stile.
Bravi i due attori scelti – oramai Chalamet è per Guadagnino attore feticcio – per una pellicola che forse non è per tutti, poiché potrebbe sembrare forse, a prima vista, respingente, ma, se le si lascia una possibilità, che si merita ampiamente, un morso alla volta, questo pasto d’amore può dare il giusto nutrimento alla bellezza del cinema, alimentandola attraverso la rappresentazione di quell’universo giovanile, così caro al regista, e che appartiene a ognuno di noi, fatto di tormento e estasi, di gioia e dolore, in una parola di vita.