California on the road, il reportage di Giacomo Brunoro dalla West Coast
Sono sempre stato abituato a pensare alla California come a un enorme parco giochi pieno di sole, onde, surfisti, ecc. ecc. Los Angeles, San Francisco, San Diego, tutte città con un forte immaginario pop che negli anni si sono trasformate in simbolo della “bella vita”.
Se però attraversi la California in macchina ecco che le cose cambiano radicalmente, ti rendi conto che in realtà ti trovi in un enorme scatolone desertico fatto di sierras bruciate dal sole e di valli vuote e inospitali.
Spostarsi da Los Angeles a San Francisco in macchina significa spararsi un sei ore buone di freeway in mezzo al nulla supremo. Neanche quando avevo attraversato la Spagna secoli fa mi era capitato di non vedere nulla per un paio d’ore.
E quando parlo di nulla intendo proprio il nulla atomico, non i classici paesini dispersi tra gli Appennini che trovi dalle nostre parti. Qui il concetto di “paesino dimenticato da Dio” assume un significato decisamente diverso.
Mi vengono in mente i beatnik che negli anni ’50 andavano su e giù per queste freeway infinite tra autostop e macchine scassone e capisco che fare autostop qui o sull’A4 non è proprio la stessa cosa.
Non so se da un punto di vista tecnico si possa parlare di deserto, certo è che vedere chilometri e chilometri di terra bruciata dal sole ti lascia addosso una sensazione particolare. Lo sguardo si perde al di là del finestrino tra le montagne ricoperte di sterpaglia gialla senza riuscire a trovare traccia alcuna di insediamenti umani.
Superi camion improponibili con millemila ruote e un muso che neanche Commander e fili vi dritto lungo una strada sempre uguale, sempre dritta, sempre vuota.
Muovendoti lungo le freeway scopri che il concetto di autogrill non esiste negli USA: l’autostrada qui è gratis e quindi i simil-autogrill statunitensi sono tutti fuori dall’autostrada. Lungo la “5” ne vedi uno ogni 200 chilometri e quando imbocchi l’uscita ti trovi di fronte a un mini-insediamento coloniale: un paio di benzinai di marche diverse, un MacDonald e un altro paio di catene di trash-food, un motel.
Ci fermiamo in una catena danese famosa per la sua zuppetta di piselli (!!!!!!) a mangiare qualcosa, facciamo il pieno e poi ripartiamo. Più ti avvicini alla Bay Area e più inizi a vedere qualche campo coltivato e allevamenti con vacche e tori che pascolano in libertà.
Una situazione di insostenibilità totale in una regione in cui non piove mai come la California e che comporta una spesa folle soltanto per l’irrigazione, con i campi che mezzo metro oltre l’area coltivata si trasformano in deserto.
A San Francisco poi tutto cambia, l’erba bruciata dal sole lascia spazio al verde e la fresca brezza dell’oceano spazza via l’aria calda e secca dell’entroterra. Il Golden Gate e gli altri ponti che attraversano la baia si stagliano su questa lingua di mare che divide due mondi che sembrano uno l’opposto dell’altro anche se a dividerli ci sono solo pochi chilometri.
Da San Francisco ci spostiamo verso l’interno fino a Sacramento, e subito lo scenario torna quello del nulla totale, anche se nella direttiva San Francisco – Sacramento gli insediamenti e le attività sono molto più diffuse. Sacramento è un enorme scatolone di case in mezzo al nulla, non certo ai livelli di Las Vegas, ma comunque non si tratta di sicuro di una città dalle “mille luci”. Ci fermiamo una notte e la mattina dopo siamo di nuovo in macchina con la sensazione di non esserci persi nulla.
Questa volta per scendere giù verso LA prendiamo la freeway che corre lungo la costa: dopo un bel pezzo sulla “5” tagliamo dentro, direzione Santa Barbara. La brusca deviazione ti spinge letteralmente dentro alle sierras con enormi saliscendi nel nulla più totale.
Ogni 50 chilometri vedi un ranch circondato dal niente e ti domandi come cazzo facessero 100 anni fa a vivere qui dato che anche adesso non dev’essere proprio semplicissimo: “Tesoro esco a fare la spesa, torno tra 6 ore…”.
Mano a mano che ci si avvicina alla costa si entra in un altro mondo, quel mondo fatto di vigneti e di “campagna” raccontando splendidamente in Sideways da Alexander Payne. Qui il vino è diventato in breve un’enorme macchina turistica ed è divertente vedere i cowboys vecchia maniera che fanno il vino. E, tra l’altro, lo fanno anche buono.
Ci fermiamo dalle parti di Santa Barbara per la notte, e visto che abbiamo un bel po’ di tempo facciamo un giretto per Solvang, surreale ma godibilissima cittadina danese nel bel mezzo della California. Serata a base di bisteccazza altra 4 dita conclusa con birretta al saloon locale.
La mattina dopo visitiamo Santa Ines, la prima missione spagnola in California, con tanto di statue di Padre Pio e Sant’Antonio. Lo scenario è quello di un viaggio nel tempo dato che tutto è rimasto più o meno uguale a centocinquant’anni fa: guardi il panorama e vedi le stesse identiche cose che dovevano vedere i primi missionari spagnoli e messicani quando arrivarono qui nei primi dell’800.
Dietro alla chiesetta un cimitero con una serie di tombe, per la maggior parte senza nome. Non sarà il cimitero de Il buono, il brutto è il cattivo ma vi assicuro che l’atmosfera è più o meno la stessa.
Ci spostiamo a Los Olivos, visitiamo un museo del Far West con una delle più complete raccolte di carri e diligenze dell’epoca, e poi ci dedichiamo a un po’ di sano wine tasting in uno dei tanti locali di un paesino che ha mantenuto la stesa struttura delle vecchie cittadine dei film western: stradone centrale, ufficio postale, saloon, ecc. Non può mancare la chiacchiera con l’anziano ranchero di Pompei che ha riconosciuto il nostro accento italiano.
Los Olivos è in generale tutta questa zona della costa sono davvero una meraviglia, un paradiso in cui scappare per un fine settimana a prendere ossigeno se vivi a LA, un buen retiro lontano dal mondo per ricconi stufi delle grandi città americane. Per noi comunque è già tempo di montare in macchina.
Los Angeles è sempre più vicina e il traffico inizia ad aumentare, mentre alla nostra destra vediamo volare in lontananza gli aquiloni colorati di chi fa kay surf sulle onde dell’oceano.
Le corsie dell’autostrada si moltiplicano chilometro dopo chilometro, finché arrivano gli svincoli mastodontici di LA circondati da costruzioni di ogni tipo.
L’oceano non si vede più, ormai ha lasciato il posto ad un mare di case e cemento.
Welcome to LA.