Cartura a mano armata, un racconto inedito di Massimo Zammataro per Sugarpulp

Esco di casa sapendo che probabilmente la serata non mi riserverà grosse sorprese, e fiducioso che il mio sgabello preferito è là che mi aspetta davanti al solito bancone.

Poco dopo mi ritrovo in un fumoso night club della provincia, in maniche di camicia, la cravatta slacciata e un bourbon davanti a me. Mentre la tromba di un trio cool jazz emette il suo armonico lamento prolungato, il fumo della mia sigaretta si alza in lente ed azzurrognole volute, ristagnando poi a mezz’aria. Amo questo locale, qui si può fumare.

Bevo un sorso e, proprio mentre lo sto inghiottendo, quel fuoco liquido prende la via sbagliata incendiandomi i polmoni: nella penombra del locale, fendendo la nebbia delle sigarette, si fa strada lei. Una bomba mozzafiato, non troppo alta, capelli rossi che cadono sulle spalle nude. Fissandomi con i suoi occhi verdi di giada, avanza verso di me ondeggiando quei suoi fianchi da mal di mare inguainati in un vestitino satinato e così attillato da non lasciare nulla alla mia immaginazione che, per inciso, sta già galoppando oltre.

Poso il bicchiere, spengo la sigaretta e mi sistemo la cravatta, senza staccarle gli occhi di dosso. Lei, sinuosa come una strada di montagna, mi viene vicino e, strusciando appena il prorompente seno sul mio braccio, si siede accanto a me, accavallando poi quelle lunghissime gambe con uno strofinìo di seta e nylon delle calze velate che indossa.

Senza nemmeno guardare il barista, ordino due bourbon, uno per me e uno per lei. Le offro una sigaretta dal mio pacchetto morbido che sta sul bancone. Lei ne prende una e l’accende con l’accendino a benzina che le porgo: aspira una lunga, profonda e voluttuosa boccata stringendo la sigaretta tra quelle labbra che hanno tutta l’aria di essere morbidissime. In quel momento sogno di essere quella sigaretta.

Quella specie di semi-dea sorride sorniona ed il suo sguardo, attraverso il fumo, scende dal mio viso verso il basso, trasformandosi in ironica sorpresa all’altezza del mio inguine.

“Sbagliato pupa” l’anticipo io “quella è la pistola….”.
Sembra delusa “Ah…”
“Se vuoi vedere il resto devi prima ballare con me, poi vedremo…” l’aggancio io, facendo il prezioso.
Lei ci sta. Spegne la sigaretta e resta in attesa, muovendo impercettibilmente la testa in segno di assenso.
“Allora fammi vedere come balli…” risponde.

Ingurgito il bourbon, le prendo la mano e, fissandola nel verde delle iridi, la tiro delicatamente verso la pista da ballo. Balliamo senza sentire la musica, gli occhi fissi in quelli dell’altro. Sento il suo profumo, non so cosa sia, ma me ne riempio le narici.
Beviamo un altro bicchiere. Ovviamente fumiamo.

“Questa dove te la sei fatta?” chiede lei accarezzando con un dito la leggera cicatrice che mi attraversa la guancia.
“Un incidente” rispondo laconico.
“Capisco…E dimmi, che lavoro fai?”
“Se te lo dicessi, poi dovrei ucciderti…” dico sorridendo. Ma non è la classica gag da uomo misterioso.
Non le chiedo il suo mestiere, tanto è già abbastanza chiaro.