Chi nasce povero muore povero, il nuovo editoriale al vetriolo del nostro Martin Brandt alle prese con il materialismo storico.
Tra le tante categorie umane crostificate dalla storia sembra che le due più evergreen, siano anche le grandi dimenticate dalle ultime rivolte di piazza: ricchi e poveracci. Sì, proprio loro i poveracci. Esistono ancora.
Appestano le bacheche FB di robe tipo perkenesusnopneparla, riempiono gli uffici postali perché nel 2019dC non hanno la MasterCard, non usano il Telepass perché il governo ci controlla anche troppo, piagano milioni di corrieri a consegnare cazzatine prese su Aliexpress perché l’economia italiana va a fondo per colpa della triade mitica Konte-Kovid-Nekri che li obbliga a comprare roba inutile da mega-colossi orientali che defecano quotidianamente su ogni conquista ottenuta dai lavoratori negli ultimi 150 anni.
Ecco questi trovano la propria ragion d’essere in opposizione a quelli con i soldi, o perlomeno un’entrata stabile che è la stessa cosa: i ricchi.
Il risvoltino reale del materialismo storico è che le categorie novecentesche osannate dai rigurgiti contemporanei tipo quellicheglipiacelafiga, uominisessuali, ariani, kristiani, terroristi, influencer avevano poco significato 100 anni fa, figuriamoci oggi.
Forse le classi non sono mai davvero esistite, ma è tutta un’altra storia. L’unica costante dell’esistenza umana è lo scontro tra poveracci e ricchi. Ma un salvatore vecchio di mille anni arriva all’orizzonte: i libri.
Sembra che studiare aiuti a non morire di fame, attività che coincide a non far scelte delle balle. Perfino nell’epoca di Tik-Tok, studiare, pare, sia una delle pochissime strade percorribili da chi non è un enfant-prodige o non è nato al Sud godendo della possibilità di finire ogni ciclo scolastico con un anno di anticipo rispetto ai coetanei del Nord e con voti astronomici.
Le statistiche (faziose, ovviamente)
Il Sole24h ogni tanto pubblica qualche statistica bollente, i figli di poveri di spirito fanno troppo spesso fini del cavolo: rotolano nel mercato del lavoro con titoli infimi e lì naufragano.
Ma si sa che il Sole24h è uno dei top player del gruppo Bieldeberg, attivissimo nel sostituire con ondate di nekri i bravi italiani, quindi i numeri sono faziosi:
- il 41% dei ragazzi usciti da istituti professionali a un anno dal diploma vorrebbe la possibilità di tornare indietro e cambiare scuola
- il 21.4% dei laureati del 2017 arriva da famiglie operaie
- nel 2016 i laureati che arrivavano da scuole professionali erano l.8%
E all’estero?
Anche l’universo anglosassone sembra dire come dice qualcuno bene, ma non benissimo in fatto di povertà di istruzione: là la buttano più che altro sull’economico visto che una triennale costa come un alloggio.
Sembra proprio che alcuni giornali stranieri tentino di sovvertire la realtà con numeri del tipo: un pezzente è facile che trasmetterà il suo orizzonte culturale al figlio, condizionandone le scelte, facendolo rimanere un pezzente. Farà fare alla progenie scelte così scellerate che saranno impossibili da correggere.
Così totalizzanti da scavalcare perfino un’eventuale botta di culo: un poveraccio non ce la farebbe neanche se ereditasse 100k dalla nonna morta, perché asino com’è li spenderebbe senza coscienza.
Scrivono su SINews:
“A study from theUS Education Department National Center for Education Statistics has shownchildren whose parents attended college are much more likely to attend university (and graduate) themselves”
Di fatto nel mondo moderno la povertà sembra essere l’ostinazione scegliere sempre l’opzione sbagliata in presenza di alternative impegnative.
Il maestro Terry Pratchett ha sintetizzato quanto sia costoso essere un pezzente parlando degli stivali del capitano Vimes, così tapino da non capire che risparmiando sul bere e su calzature sottomarca poteva permettersi scarpe da gran signore.
Se un povero cambia casa dirà che le piastrelle Florim non le mette perché quelle della Prealpina sono uguali e Valcucine va bene per i radical chic Komunisti come Saviano che devono rifare l’attico a New York. Per inciso io metterei le Mutina, ça va sans dire.
Prenderà tutto da capitolato, piazzando una Tv di ultima generazione da 1.700 euro in soggiorno (comprata a rate finendo per pagarla 2600€), rifarà l’abbonamento allo stadio, prenderà l’ultimo l’iPhone a moglie e figli, attivando il finanziamento per il nuovo SUV.
Dopo 15 anni l’alloggio varrà uno sputo e quando sarà ora di venderlo hai voglia a indinnarsi11!! perché il cesso sembra il pisciatoio turco e la cucina la postazione di lavoro del porcaro fuori dal Bowling di c.so. Traiano. Svenderà un immobile sfigato ripieno di robaccia lamentandosi con il fato bastardo e la sorte avversa.
Il nostro reality distortion filter
Uno dei punti fermi della realtà italiana, proprio grazie ai social che tutti usano con parsimonia, calcolando ogni interazione, pesando ogni commento con il bagaglio culturale regalato da un sistema scolastico praticamente gratuito fino a 30 anni, è il rifiuto di questi dati.
Viene foraggiata una versione paradossale del concetto di pseudo-ambiente di Lippman: la realtà immaginaria di un gruppo con X convinzioni, genera la realtà in cui questi effettivamente vivono. Un reality distortion filter che dà vita a vere esistenze anziché essere una bolla mentale.
La gigantesca conquista dei social è mostrare l’anima della modernità: in occidente le persone che non ce la faranno mai vogliono fare le scelte sbagliate, sognando di avere ragione. A questo punto però, evitiamo solo l’effetto Rete4. C’è povertà dolosa e povertà colposa.
Vivere in una favela/nascere in Congo è una cosa, non arrivare a fine mese perché non si sceglie in modo ragionato è un’altra.
Nel secondo caso si gode di acqua corrente, sistema sanitario (in Europa quasi gratis), previdenza sociale, la possibilità di essere interprete di varie professioni, per sfigate che possano essere, sono pagate in denaro vero e non crediti verso il regime/buoni d’acquisto/monete autarchiche che al cambio non coprono il costo della carta su cui sono stampati.
La realtà colpisce come un pugno in faccia, i poveracci si incazzano e votano il Kapitano: come posso a 19 anni, senza diploma, Dj part-time, a non essere ricco sfondato? Mi sono anche trasferito a 93 Km da dove lavoro e ho investito i risparmi l’eredità della zia Mariella in una BMW F90 M5. Prima gli italiani, qui servono soldi altrimenti non si va avanti.
Se il direttore, il contadino, il dottore, l’impiegato, la P.IVA e l’operaio non sentono più la pressione sociale di un contesto dominato dalla Tradizione, quella vera, fatta di Dio-patria-famiglia di dickensiana memoria, e starnazzano ogni desiderio, incertezza e timore pubblicamente, diventa facile capire come mettersi in condizione di avere un minimo di affermazione.
Cultura e economia
Il livello culturale è la chiave del vero sviluppo economico, quindi sociale, quindi dell’avere qualche minima possibilità di avere soldi in tasca.
L’operaio che non fa studiare i figli va a rimpolpare il bacino di voti di quelli che vogliono l’indipendenza dall’Europa, la Lira e le cosefattebenecomeunavolta alla testa di un esercito di ragazzotti armati di diplomino professionale, monolingua, che sognano il Duce e parlano dialetto.
Il resto del pianeta risponde al fuoco con prodigi cinesi che frequentano scuole russe di matematica in estate, laureati dalle IVY League USA che la tesi della specialistica l’hanno fatta Los Alamos e il master a Google, talent indiani o emiratensi che parlano 4 lingue proficient nella cosa in cui sono titolati. Gente che se non diventa dipendente con contrattoni, fonda aziende che fatturano billions.
Senza contare i colleghi europei, di base quasi trilingue: Germania, Francia in primis, ma anche ragazzetti del Nord Europa con l’inglese fluent di default+ lingua madre+ lingua extra per i crediti scolastici fin dalle medie.
Fuori dalla palude
In questa palude i pochi italici che ci riescono sembrano essere fatti con lo stampino: pare abbiano un qualche tipo di titolo di studio, ovvero la prova che in un momento della vita si sono impegnati in qualcosa di mediamente complesso più di un coetaneo, balbettano un qualche idioma diverso da quello del villaggio di nascita e dividono il mondo tra stronzi e gente con cui si può fare qualcosa.
La mentalità del manager imbruttito in fin dei conti, un po’ paracula come visione del mondo, forse, ma tant’è.
Qualcuno fa perfino il vero salto di qualità diventando un supereroe, o P.IVA per usare un sinonimo. Aprirà, per dire, un suo banco di frutta e verdura per rivendere quello che coltiva nella sua azienda agricola, si sveglierà alle 03:50 per 6 giorni e settimana farà al mese le ore che una maestra fa a lustro, caricandosi il peso di portare avanti il made in Italy.
Certo, come diceva Roland Barthes, i miti risolvono situazioni complesse, i bias cognitivi per usare un termine alla moda, per cui l’uomo della strada davanti a questi problemi tirerà in ballo storielle tipo:
- mio cugino ha la laurea eppure è un co****ne
- il suo vicino di casa è analfabeta ma è un genio, fank**o l’effetto Dunning-Kruger
- su Fb un bambino di 10 anni ha inventato una proteina che trasforma le onde 5G in gelato alla crema e sta facendo i milioni, perché nessuno ne parla?
- 3bmeteo è meglio di Ilmeteo
- se ci fosse ancora la naja quelli come voi erano morti, io sparavo 30 caricatori al giorno di cal.150, bruttifinocchi. (questo ai maschi alfa moderni capita almeno tre volte al giorno. Che cosa facessero poi in fanteria certi panzoni, quando era OBBLIGATORIO starci, sarebbe davvero figo scoprirlo)
Verità assolute insomma, per ribattere a percentuali fantozziane. Eppure le statistiche, la manifestazione più sterile della storia, continuano a dare ragione a chi dice che coloro i quali investono nella propria formazione di norma qualcosa di furbo lo combinano.
Ah, e figliare non è un successo: ricordate quella volta che a Sanremo è stata fatta salire sul palco la famiglia più numerosa d’Italia? Passano il microfono al papà e su dieci parole, nella sua unica volta in prima serata sulla TV nazionale, ringrazia la Madonna per aver raggiunto l’obbiettivo della vita, 10 pargoli.
L’Uomo Esempio proprio.
Allora tiriamo in ballo le interviste di Montemagno ai businessman di successo marchiati ITA, cloni invecchiati di quelli che sembrano avercela fatta: titoli, carriere, ore e ore al lavoro, lingue straniere, vision, target, CDA da gestire e retail da mandare avanti.
Chiunque abbia realmente lavorato per, o gestito, una realtà complessa alla fine è giunto alla triste verità che il punto di vista dell’uomo della strada è un lusso: per fare business serve la forza della conoscenza, per pagare uno stipendio è fondamentale un operaio capace di produrre la cosa che vogliamo vendere, che poi sia finocchio o meno, è un altro paio di maniche.
Follia pensare di non fatturare per la sfumatura di colore dell’ultimo assunto o una eventuale sua venerazione di una divinità che non lo fa lavorare la domenica vicino a quelli di Cuneo con i capelli gialli e non gli fa mangiare carne di pollo il mercoledì e nei mesi con la R nel nome.
Il capitalismo è l’occidente che si cerca di difendere dal fondamentalismo, ma si sta perdendo una della sua componenti più genuine, ovvero la natura intimamente protestante: vince chi si impegna.
Impegna sul serio, niente trick religiosi tipo che la vera vittoria sarà in un lontano futuro in un’altra dimensioni astrale. Glissare su questi concetti equivale a dar ragione alle varie minoranze armate secondo cui il mondo moderno ha perso la bussola senza fede, sottomissione e donne in burka.
Come disse Gutenberg: il tuo testo sacro te lo leggi a casa, te lo stampo pure in lingua, vedi solo di far girare la bottega, pagare i garzoni e versare le tasse. Per tutti gli altri c’è il vuoto o al massimo un ripescaggio con il retino della carità cattolica e la sua tendenza al far finta che le persone siano davvero tutte uguali.