Radici letterarie per la sfida del futuro

Promuovere il genere, promuovere la narrativa popolare

ORIGINI

Come avrete notato, già a partire da gennaio 2012, a Sugarpulp abbiamo allargato gli orizzonti: non ci occupiamo più solo di narrativa pulp mescolata a noir e crime fiction ma teniamo d’occhio anche tutte quelle infinite e affascinanti variazioni sul tema ogniqualvolta a questi generi possano unirsi l’avventura, la fantascienza, l’horror, il gore, il dark fantasy e molti altri.

Del resto, è proprio andando a vedere quando e con chi nasce la narrativa pulp, che ci rendiamo conto che i padri nobili di un simile “genere di risulta” sono autori tanto formidabili quanto sorprendenti.

Il pulp nasce negli States fra fine ‘800 e inizio ‘900 e si consolida negli anni ‘20 attraverso riviste da due soldi come “Black Mask” – quella cui pensò Quentin Tarantino quando girò Pulp Fiction – “Flyng Aces”, “Amazing Stories” e moltissime altre.

Erano riviste fatte di carta povera, ruvida, di pessima qualità – la famigerata cheap wood pulp paper – e ospitavano, tuttavia, autori che sarebbero divenuti ben presto straordinariamente popolari grazie alle indubbie capacità stilistiche e creative, basti pensare ai tanti personaggi nati per loro merito su quelle pagine e che oggi si sono conquistati un posto nel nostro immaginario collettivo.

Chi non conosce, infatti, Conan il barbaro, e Solomon Kane di Robert E. Howard; Tarzan, creato da Edgar Rice Burroughs; Zorro di Johnstone McCulley; Flash Gordon di Alex Raymond, The Shadow di Walter B. Gibson?

Parliamo di personaggi divenuti talmente popolari negli anni successivi da guadagnarsi fama imperitura, infinite trasposizioni cinematografiche, romanzi e fumetti, insomma l’essenza stessa della narrativa – e della letteratura ci permettiamo di aggiungere – che è quella di inventare mondi e personaggi capaci di catturare l’attenzione e l’amore dei lettori.

Perciò le origini del pulp sono, e rimangono, estremamente popolari, perché è a quel tipo di ampio pubblico che le riviste si rivolgono, non dimentichiamo che nell’età dell’oro – fra gli anni ’20 e ’30 – le riviste pulp arrivavano a vendere fino a 1.000.000 di copie a numero.

Se poi andiamo a vedere l’elenco degli autori che scrissero per quelle riviste, ebbene è difficile non rimanere a bocca aperta: Mark Twain, Joseph Conrad, Jim Thompson, Jack London, Horace McCoy, Tennesse Williams, Cornell Woolrich, Francis Scott Fitzgerald, Philip K. Dick, Rudyard Kipling, Isaac Asimov, Elmore Leonard… la lista è pressoché infinita.

Ma addirittura sembra ancor più interessante notare che quelle stesse riviste erano il prodotto di precedenti generazioni di scrittori che avevano dettato i canoni della letteratura gotica e di quella del c.d. “lost world”.

Alla prima, oltre a Edgar Allan Poe appartenevano, fra gli altri, maestri assoluti della letteratura come Robert Louis Stevenson e Bram Stoker; alla seconda, Arthur Conan Doyle – che oltre a essere autore della celeberrima serie poliziesca dedicata a Sherlock Holmes aveva altresì firmato il romanzo capostipite di questo genere volto a narrare l’epopea di un mondo perduto, “The Lost World” appunto – Henry Rider Haggard, autore de “Le miniere di Re Salomone”, un classico che avrebbe portato fortuna a un personaggio dalla vita letteraria pressoché eterna come l’archeologo Allan Quatermain, protagonista di una serie di romanzi firmati poi anche da altri autori e figura che influenzò incredibilmente il personaggio di Indiana Jones; fino a Rudyard Kipling con “L’uomo che volle essere re”.

L’affermazione non suonerà peregrina, se pensiamo che molti degli scritti di questi autori – perlomeno di Edgar Allan Poe e Arthur Conan Doyle – vennero ripubblicati proprio sulle pulp magazine di cui stiamo parlando.

Come emerge in modo evidente, quindi, il pulp non è forse nemmeno un genere a questo punto, ma piuttosto un’attitudine, uno stile, o forse un genere di generi, un genere di risulta, appunto, che abbraccia la fantascienza e l’avventura, il noir e il fantastico, la crime fiction e l’hard boiled, l’horror e il gotico e che, tuttavia, si pone come obiettivo quello di creare e diffondere nella maniera più pervasiva e capillare un nuovo concetto di fare narrativa e letteratura: popolare, non accademico, immediato, economico.

RADICI ITALIANE

A questo punto, e lo affermiamo con forza, sbaglieremmo a definire il fenomeno come prettamente americano, poiché nello stesso periodo, in Italia, fioriscono riviste e supplementi di quotidiani altrettanto popolari e pronti a catturare generi come l’avventura, il fantastico, il gotico, il poliziesco.

Citeremo, tanto per cominciare, quello che riteniamo di poter definire il romanziere popolare per eccellenza della letteratura italiana: Emilio Salgari. Non crediamo di fargli un torto con una simile definizione e anzi riteniamo che davvero un autore come lui avesse tutte le caratteristiche del leggendario autore pulp.

Nella sua straordinaria carriera, Emilio Salgari si è rivelato fin dall’inizio un pioniere, un precursore. I profili su cui fondare una simile affermazione sono perlomeno due: quella sua consapevolezza, ferrea, nel voler creare autentici mondi in cui far muovere i propri personaggi, da cui la nascita di veri e propri cicli narrativi, oggi li chiameremmo serie; e lo straordinario talento nel mescolare e frequentare i generi più diversi quali avventura, western, storico, fantascienza.

La scrittura di Emilio Salgari è profondamente popolare perché in grado di forgiare personaggi capaci di fissarsi come archetipi nell’immaginario collettivo: Sandokan, Il Corsaro Nero, Capitan Tempesta sono solo alcuni degli esempi che potremmo fare. Ma non si tratta solo di questo. Emilio Salgari è anche un profondo conoscitore dei diversi linguaggi narrativi: i suoi racconti, romanzi, reportage vivono fin dall’inizio nelle pagine dei libri ma anche nei giornali, nelle riviste, nei periodici di viaggio.

Prima di diventare scrittore di grande successo, Salgari è stato giornalista. L’utilizzo dello pseudonimo per sottrarsi a clausole contrattuali capestro, le torme d’imitatori, financo di ghost writer postumi alla sua tragica dipartita, fanno di lui un autentico antesignano di quel futuro smaccatamente pop che sarebbe diventato ben presto presente.

Per certi aspetti, Emilio Salgari è stato un visionario, un autore in grado di comprendere le potenzialità del genere e di utilizzarne stilemi e punti di forza portandoli a un nuovo livello.

Come Alexandre Dumas, Robert Louis Stevenson, Edgar Allan Poe, Jules Verne ma anche come Robert E. Howard, H. P. Lovecraft e Edgar Rice Burroughs. Tutto ciò, anche se in Italia – prima durante e dopo – il genere non ha mai goduto di grande considerazione, relegato in una serie B talmente miope da risultare perfino masochistica.

Ma Salgari, dicevamo, oltre che autore straordinario è stato anche direttore di riviste certamente accomunabili a quelle pulp come “Per Terra e per Mare” in cui trovano pubblicazione a puntate non solo opere dello stesso Salgari come “Jolanda, la figlia del Corsaro Nero”, ma anche “La rosa della prateria” di Fenimore Cooper o racconti come “Addio” o “La civetta” firmati da Salvatore di Giacomo.

E ancora, altre sono le riviste e i supplementi che pubblicano nelle loro pagine, in quegli anni, romanzi a puntate e racconti di genere fantastico, poliziesco, gotico, avventuroso, western: citiamo fra le tante “L’Oceano e il Vascello”, “La Domenica del Corriere”, “La lettura” – le ultime due entrambe supplementi de il Corriere della Sera – “Il secolo XX”.

A dimostrazione di come una vera e propria genia di nuovi scrittori sperimentasse con successo generi e formule nuove, perché popolari, non accademiche, attente a riempire le pagine di violenza e azione, di sangue e colpi di scena. E dunque, non era questo l’equivalente di un vero e proprio pulp italiano?

Naturalmente non è nostra intenzione attribuire un’etichetta straniera a ciò che è spiccatamente nostrano, non in questo caso perlomeno, quello che qui ci interessa è evidenziare un innegabile parallelismo. Del resto, leggendo scritti come “Un vampiro” di Luigi Capuana o “Ossessione rossa” di Giuseppe Bevione, ci pare davvero difficile affermare il contrario.

SUGARPULP: DAL 2013 IN POI

Sono queste dunque le radici culturali cui Sugarpulp guarda in ultima istanza. Poiché è un fatto che Cormac McCarthy e James Ellroy, Chuck Palahniuk e Joe R. Lansdale, Don Winslow, Tim Willocks e Victor Gischler arrivano proprio da quel mondo lì: sono grandi narratori popolari che non hanno rinunciato – con diverse gradazioni – a uno spirito e a uno stile pulp nella misura in cui questo consenta di scrivere romanzi dissacratori, fuori dagli schemi, pieni zeppi di violenza e azione, con una visione ampia che spazia da un genere a un altro… pensate a titoli come “La strada”, “Meridiano di sangue”, “Non è un paese per vecchi”, “Il lato oscuro dell’anima”, “Black City”, “Sinfonia di piombo”, “Bad City Blues”, “Re macchiati di sangue”, “L. A. Confidential”, “Fight Club”, “Invisible Monster”, “Frankie Machine”, “Il potere del cane”, “Le belve”, “Mucho Mojo”, “La collina dei suicidi”, “Il mambo degli orsi”, “Il fine ultimo della creazione”. E sono solo alcuni di quelli che potrei nominare.

D’altra parte la tradizione italiana, che da Salgari in poi ha deciso di difendere il genere, non si è fatta mancare, per nostra fortuna, straordinari autori come Massimo Carlotto, che ha rovesciato il cliché del commissario con figure sorprendentemente cattive e azzeccate come il Giorgio Pellegrini di “Arrivederci amore ciao” o con la serie dedicata a l’Alligatore, investigatore privato che si muove in una zona grigia fra legale e illegale e che rimanda all’hard-boiled di James Lee Burke e James Sallis, oppure Valerio Evangelisti e il suo inquisitore Eimerich, senza dimenticare il palero Pantera e il ciclo dedicato ai Pirati con “Tortuga”, “Vera Cruz” e “Cartagena”; e che dire di Alan D. Altieri e la trilogia storica di “Magdeburg”, infarcita di pulp e apocalisse, o della serie dedicata allo sniper Russel Brendan Kane?

Insomma, il genere non solo sopravvive ma resiste, cresce e, lasciatecelo dire, vende ancora.

Ed è appunto al genere in tutte le sue declinazioni, che continueremo a guardare a Sugarpulp, tenendo fede all’idea prima che è quella del pulp, inteso come codice narrativo capace di garantire al meglio quell’autoironia, quella popolarità, quella voglia di stupirsi, che in tempi di crisi come questi sono virtù tanto più necessarie.

Qui a Sugarpulp non crediamo in letteratura alta o bassa, di serie A o B, e nemmeno nel concetto di educare i lettori, catechizzandoli a non si sa quali fondamentali letture.

Quello che vogliamo fare è proporre sempre di più, allargare lo steccato dei generi, testimoniare in tutti i modi che la letteratura di genere è quella in grado di plasmare personaggi che ottengono successo perché capaci di imprimersi nell’immaginario dei lettori.

La letteratura di genere è quella che intrattiene in modo intelligente, fa divertire e sorridere, può far riflettere certo, può rimandare alla realtà, può prendersi delle responsabilità ma non cerca di salvare qualcuno o di spiegargli che cosa è meglio per lui.

Viva Abramo Lincoln e i vampiri quindi – Seth Grahame-Smith è davvero un grande autore dark – e lunga vita a Kurt Sutter e al suo “Sons of Anarchy” e ancora a Ian Fleming e 007, a Todd MacFarlane e al suo Spiderman o a Frank Miller con “Sin City”, e poi ultime ma non meno importanti la saga di “Gears of War” di Karen Traviss o quella di “Assassin’s Creed”, firmata da Oliver Bowden.

Ecco, un’ultima annotazione. A Sugarpulp siamo perfettamente consci di affacciarci al 2013.

Proprio per questo riteniamo imprescindibile rimarcare, in quella che di fatto si propone con nuova forza e vigore come una rivista pulp, la cross-medialità della scrittura.

Sarebbe anacronistico e miope non pensare a quanto il cinema, il fumetto, le serie tv e il videogame influenzino oggi i romanzi o, all’opposto, trovino in quei romanzi la propria culla.

Del resto, affermando questo, non inventiamo nulla: ci basta pensare per un attimo a quanti siano stati gli sceneggiati e le trasposizioni cinematografiche dei romanzi di Emilio Salgari o Robert E. Howard, al ruolo fondamentale degli illustratori e degli autori di fumetti italiani nella creazione di un grande immaginario letterario collettivo e popolare – Hugo Pratt, Giorgio Cavazzano, Dino Battaglia solo per citarne tre – al ruolo chiave che, oggi, i videogiochi rivestano nella narrativa proponendo non solo grandi successi commerciali ma anche serie di romanzi di assoluta qualità.

Per questo crediamo di dover ampliare la nostra proposta culturale, per questo vogliamo mantenere forte un’identità di letteratura popolare, meticcia, contemporanea, d’intrattenimento ma anche in grado di far riflettere con un sorriso, di genere eppure non certo bassa, anzi.

Pensiamo che, una volta di più, i lettori saranno con noi, perché crediamo che oggi più che mai ci sia un disperato bisogno di storie, d’invenzioni, di personaggi, di mondi, di ritmo, di sangue, di vita.

di Matteo Strukul