Ci serve una barca più grossa – Capitolo Finale: la new generation di squali digitali, ovvero come perdere la propria dignità passando da implacabile macchina di morte a zimbello dei sette mari.
Blu profondo (1999) di Renny Harlin fu lo spartiacque. Quando assistemmo, attoniti, alla mattanza messa in atto da un branco di squali digitali, agili e velocissimi e dotati di intelligenza superiore alla media dei loro cugini animatronici del passato, in quel momento capimmo che la fatidica soglia del “questo non si può fare” era stata superata e che il sottile filo rappresentato dalla sospensione dell’incredulità si era irrimediabilmente spezzato. La magia del verosimile -per quanto assurdo fosse stato ciò che fino ad allora avevamo visto nei film di squali- era svanita lasciando dietro di sé solo indelebili ricordi, come dei profondi segni di denti su una tavola da surf alla deriva nel mare della nostalgia.
Era arrivata la computer grafic che, costando sempre meno, era (ed è tuttora) il sogno di onnipotenza avverato di ogni cineasta cazzaro: con il computer puoi creare quanti squali vuoi, grandi quanto vuoi, che fanno ciò che vuoi, al servizio di qualsiasi troiata di trama ti passi per la testa mentre stai sul cesso alla mattina. Soprattutto, con pochi soldi. Dopo Blu Profondo, dagli abissi emersero una quantità di squali forse soltanto pari al numero di avvocati sul nostro territorio nazionale (battuta difficile questa: chi la capisce vince un tour guidato in Tribunale ed un caffè normale).
Sarebbe inutilmente prolisso elencare la covata di film generata dal successo di Blu Profondo; basterà dire che essi si distinguono, per lo più, per la sciatteria degli effetti speciali digitali (ciò che, per altro, costituisce e resta l’unico termine di paragone per tutti i moderni monster-movies marini e non). Mi limiterò, quindi, ad evidenziare solo le punte di “eccellenza”. I primi a capire l’antifona della nuova auge dei pescioloni, furono quelli la NU IMAGE che se ne venne fuori, in una manciata di anni tra il 1999 ed il 2005, con ben 5 film di squali.
Facendo un piccolo salto in avanti fino al 2008, registro – ad uso degli irriducibili squalomaniaci – la presenza in catalogo Nu Image anche di quella vaccata cosmica che è Shark in Venice (non la nota spiaggia californiana, bensì proprio la nostra città lagunare), di cui si salva solo la locandina. Non ve ne parlo nemmeno, se volete ve lo vedete. Tra gli shark-movies della Nu Image spicca, senza dubbio alcuno, il trittico di Shark Attack: i primi due sono pellicole senza infamia e senza lode, roba per gente di bocca buona che si sa accontentare, ma il terzo, unitamente ad un altro film di altra produzione, rappresenta la chiave di volta per comprendere l’attuale evoluzione cinematografica dei nostri amati pescecani.
Chi, senza essere un paleontologo, conosceva il Carcharodon Magalodon, preistorico papà del nostro attuale squalo bianco, prima del 2002? Bene, la bestia in questione sarebbe stata lunga dai 6 ai 20 metri, cioè circa 3-4 volte un odierno squalo bianco. Immaginatevi la bocca ed i denti e, se siete odontoiatri, pensate a quanto avreste potuto arricchirvi anche di sole otturazioni.
E Hollywood, che dentista non è, ma è avida di danaro come una meretrice ninfomane, non poteva lasciarsi sfuggire l’intuizione di sfruttare un bestione così, per continuare a sfruttare un filone che sembrava ormai di nuovo agli sgoccioli. Ecco quindi che nello stesso anno, il 2002, escono Shark Attack 3: Megalodon e Megalodon. Film pressoché gemelli, mettono in scena pescecani, dalla bocca e dall’appetito smisurati, che si avventano su qualsiasi persona o cosa trovino sulla loro strada: ecco, quindi, il megalodon che si mangia in un sol boccone un batiscafo di media grandezza, una moto d’acqua con passeggero, un battello pneumatico di salvataggio con equipaggio, giusto per fare degli esempi. Il tutto condito da una CGI orribile.
Il punto di svolta di cui si diceva poco sopra sta nell’aver ridefinito, nuovamente, il canone dello shark-movie e del monster-movie in generale. Finita l’epoca della paura, cessato il periodo del gore, passato lo stupore per le meraviglie digitali, le barriere da infrangere sono: le dimensioni (che contano, altrochè) e la gara a chi spara la cazzata più grossa, senza tante menate artistiche di ogni ordine e grado. Gli spettatori non si spaventano più di un cazzo e vogliono le puttanate; noi gliele serviamo e nemmeno cotte bene, tanto passa il motto so bad so good.
Ed eccoci praticamente ai giorni nostri, con la famigerata The Asylum a raccogliere il testimone Nu Image portandolo a “vette” inaspettate, facendo del prefisso Mega il proprio vessillo.
Nel 2009 torna sugli schermi il megalodon, stavolta più grande ed incazzato che mai: Mega Shark vs Giant Octopus. Esperimenti militari risvegliano dai ghiacci artici il padre di tutti i megalodontes ed una piovra gigante altrettanto preistorica. Ne nasce una lotta per il controllo del territorio (il mondo, praticamente) durante la quale i due mostri si battono come dei tamburelli sardi. A farne le spese sono i poveri umani, impotenti davanti a tanta brutale grandezza. MSvsGO osa dove altri non avevano mai osato: lo squalo, vero protagonista del film, mangia tutto e arriva dappertutto: divora il Golden Gate di San Francisco, demolendolo, e addirittura spicca balzi acqua-aria tali da raggiungere ed addentare un aereo in volo. CGI da lacrime, come al solito.
Adesso, dico io, va bene che l’uomo è andato sulla Luna con una navicella il cui computer di bordo lavorava a 16 bit (come una calcolatrice tascabile moderna, grosso modo), ma vivaddìo, non si possono fare i mostri digitali con il Commodore 64! Ma tant’è, so bad so good, no? E quindi, forte del successo, la Asylum sforna Mega Shark vs Crocosaurus e nel 2014 l’attesissimo Mega Shark vs Mecha Shark! Qua siamo veramente oltre. Un iceberg, trainato via nave nelle calde acque di Alessandria d’Egitto (forse per usarlo nella locale sagra della grattachecca), si scioglie liberando l’ennesimo mega shark surgelato al suo interno.
L’animale inizia a fare danni in giro per gli oceani, attraverso i quali si muove evidentemente a velocità smodata, fino ad arrivare al largo di Sidney, Australia. Nel tragitto trova il tempo di affondare una portaerei, una piattaforma petrolifera,e via discorrendo. L’esercito, che ha visto gli altri due film, non è impreparato e ha costruito un sottomarino gigante fatto a squalo per combattere il mega mostro. Il sistema operativo non è, però, messo a puntino e durante uno scontro muso a muso, rimane danneggiato. L’intelligenza artificiale, quindi, prende il controllo del mezzo, emerge dai flutti e corre sui propri cingoli per le vie di Sidney, portando morte e distruzione. Il Mega Shark non è più la minaccia principale. Sublime.
Non trovando più nemici sufficientemente forti per il mega shark, la Asylum gli contrappone un mostro meccanico come fecero i giapponesi in Godzilla vs Mecha Godzilla. Inutile dire che l’epicità non è proprio la medesima. Di mega, in casa Asylum, non ci sono solo gli squali.
Troviamo anche Mega Python vs Gatoroid (in cui pitoni cresciutelli si scontrano con alligatori anabolizzati da steroidi sperimentali…) e Mega Piranha. Quest’ultimo, nonostante sia una vaccata in cui i piranhas ipertrofici sono incollati sulle inquadrature con una tecnica degna delle giacche di Felice Caccamo, tuttavia e di conseguenza, strappa delle grasse risate soprattutto nella memorabile scena del corpo a corpo con i pesci. Gustatevela, che merita.
The Asylum, non paga, ha prodotto ancheTwo-headed shark attack, in cui uno squalo a due teste (quindi doppiamente letale) quasi affonda a testate un’isolotto tropicale. E ho detto tutto. E come dimenticare l’ormai mitico Sharknado? Brutta realizzazione di un film delirante che bastava poco per renderlo un cult (non solo per la povertà degli effetti speciali). Conto molto sul suo sequel a New York… Tra i non Asylum, segnalo un bizzarro shark-movie che introduce, nell’ormai sputtanato giro degli squali, anche la variante paranormale. Si tratta di Ghost Shark, in cui a mietere vittime per vendetta è il fantasma di uno squalo che, andato a morire in una grotta, rimane altresì vittima di un sortilegio che colà incombeva e che lo condanna a non raggiungere le azzurre praterie degli abissi.
Questo folle artifizio di sceneggiatura permette di spostare l’azione dal mare alla terraferma, facendo spuntare il fantasma da ovunque vi sia acqua: un bicchiere, un secchio, una pozzanghera. La cosa strana è che mi è sembrato realizzato meglio delle solite ciofeche che circolano oggigiorno. Ma potrei aver preso un abbaglio da sonnolenza della domenica pomeriggio. Per la cronaca, ne esiste un sequel. Super minchiata, invece, deve essere Jersey Shore Shark Attack, in cui ad affrontare i pescecani sono i bifolchi italo-americani del noto reality da cerebrolesi Jersey Shore. Rifiuto categoricamente di vederlo.
Altre porcate di cui potete godere i trailers su Youtube e che non recensirò nemmeno sotto tortura: Dino shark, Monster Shark, Jurassick Shark (questo mi sa che l’ho visto, però…), Avalanche Shark (squali sotto la neve!), Malibù Shark Attack (baywatch vs squali-goblin preistorici, e ahimè ho visto pure questo), Piranha Sharks (squali bianchi delle dimensioni di piranha rilasciati nelle fogne di New York), e molti altri. In ultimo, devo ricordare il non disprezzabile e tutto sommato godibile Shark 3D (2012), assedio di squali ad un supermarket inondato da uno tsunami. C’è qualche danaro in più, e si vede.
Tirando le somme, nell’epoca dei Mega Squali, nessuna barca sarà abbastanza grossa da portarci in salvo da queste acque, in cui le uniche macchie di rosso sono quelle del sangue dal naso che ci prende per la rabbia di dover vedere la fine ingloriosa del più terrificante killer dei mari. Più in generale, con altre forme e motivazioni, sembra proprio che i mostri giganti siano tornati di moda, solo che -a differenza dei loro antesignani- oggi raccolgono solo risate e pernacchie, facendosene non di meno un vanto. Coming next: Spiders 3D e Big Ass Spider!
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