L’Italia a nuvolette è la prima indagine sulla filiera del fumetto italiano: il 42% di chi “lavora” nel fumetto non arriva a guadagnare 5mila euro all’anno.

L’Italia a nuvolette. Indagine sulla filiera del fumetto in Italia è il primo studio che mette sotto la lente di ingrandimento tutto il mondo fumettistico.

Il lavoro è stato realizzato dall’Unità di Ricerca LYNX della Scuola IMT Alti Studi Lucca insieme alla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, co-finanziatrice del progetto.

I risultati dello studio sono stati presentati durante una conferenza stampa alla Scuola IMT Alti Studi Lucca. Vediamo un po qual è lo stato di salute dei fumetti italiani.

Una ricerca con pochi numeri concreti

Va subito precisato che la ricerca propone pochi numeri concreti per quanto riguarda vendite, fatturato e rilevanza industriale di un settore che non sembra molto in salute. Quasi il 73% di chi “lavora” nel mondo del fumetto, infatti, non raggiunge un reddito di 15mila euro all’anno. Quasi la metà dei “lavoratori” del settore peraltro si ferma sotto ai 5mila euro all’anno.

In pratica stiamo parlando di un mondo che resta ancora semi professionale e in cui a guadagnare sono solo i grandi gruppi editoriali (che peraltro nella maggior parte dei casi si limitano a distribuire prodotti esteri); oppure gli one man band che curano ogni aspetto del loro prodotto e che hanno raggiunto notorietà e successo commerciale grazie ai social; o chi è già affermato da anni e che si trova in una posizione consolidata (per quanto sia una situazione sempre più complessa).

Il silenzio assordante dei big sulla questione dei diritti

Sarebbe interessante sapere cosa ne pensano le grandi voci istituzionali del fumetto italiano, personaggi illustri che non perdono occasione sui social di farsi paladini dei diritti di tutti tranne che delle persone che lavorano con loro e che, a quanto pare, non vengono pagate in maniera equa (quando vengono pagate).

L’indagine peraltro è lungi dall’essere esaustiva dato che è il risultato di 508 risposte al questionario online con i creatori e 54 interviste a diversi attori del sistema, tra cui editori, associazioni di categoria, biblioteche, musei del fumetto, spazi culturali, collettivi di autoproduzione, piattaforme digitali, riviste, festival, e content creator svelano.

Se i numeri reali dovessere essere davvero questi non si può non restare perplessi di fronte a un settore che resta prevalentemente dopolavoristico e amatoriale. Un monopolio dominato da pochi big attorno ai quali si muove un esercito di appassionati a cui non resta che elemosinare le briciole.

Come sta il fumetto italiano? Bene ma non benissimo…

Come scrivono gli autori della ricerca, infatti

per quanto riguarda le criticità del settore uno dei problemi più rilevanti è senza dubbio la sostenibilità economica per gli artisti. È auspicabile che il settore evolva in una direzione di regolamentazione che preveda, ad esempio, contratti più equi e riconoscimento economico per il lavoro creativo: una grave criticità del settore del fumetto italiano è infatti rappresentata dalla situazione dei contratti di lavoro e il riconoscimento economico del lavoro creativo.

Vediamo in numeri nel dettaglio: solo il 31,29% dei creatori che hanno partecipato all’indagine si sostiene con la sola attività lavorativa nel fumetto, mentre la maggior parte (68,71%) è costretta a svolgere molte diverse attività lavorative anche in ambiti diversi da quello del fumetto.

Il 42,2% dei partecipanti guadagna meno di 5mila euro netti all’anno dal lavoro nel fumetto e comunque il 73,26% non raggiunge un reddito di 15mila euro netti. Il 69% circa si è trovato a rifiutare proposte di pubblicazione a causa dell’inadeguatezza e insostenibilità dei contratti e compensi proposti.

I “nuovi” trend

Tra i trend che emergono dalla ricerca, vi è la grande crescita del genere manga, che apre sì a nuovi orizzonti di espressione artistica ma a scapito del fumetto popolare/seriale. Inoltre il genere delle graphic novel, in connessione con il fenomeno del decremento delle edicole, hanno determinato le condizioni per l’ingresso dei fumetti nelle librerie. Tutti trend di cui si parla da anni e che possiamo definire “nuovi” soltanto per chi è estraneo al mondo del fumetto, e che probabilmente è il target di questa ricerca.

La ricerca non parla però del fatto che i fumetti sono già praticamente spariti dalle librerie (manga esclusi) e, soprattutto, della quantità spropositata di resi con cui per la prima volta dovranno fare i conti gli editori specializzati. Sì perché fino a ieri gli editori di fumetti vivevano nel dorato mondo della distribuzione in fumetteria, distribuzione che non prevede il resto da parte del negoziante.

Così come non si parla dei reali dati di vendita delle graphic novel in libreria, dati di vendita che salvo qualche raro caso sono stati disastrosi.

Un’indagine poco industriale (dove sono i numeri?)

Un’indagine dunque molto poco industriale e molto amatoriale, con un’assenza quasi totale di numeri concreti: vendite? fatturato? player di settore? canali distributivi? volume dei resi? costi di produzione? andamento dei numeri negli ultimi 20 anni?

Restiamo dunque in attesa del libro che verrà pubblicato nei prossimi mesi e che dovrebbe comprendere un report completo sulla ricerca, ma anche un database degli oltre 2.500 soggetti appartenenti ai diversi ambiti produttivi in cui si articola la filiera del fumetto italiano,  u e un libro che vedrà la luce nei prossimi mesi.

Si resta dunque un po’ perplessi di fronte a una ricerca che ha l’obiettivo di “aumentare la consapevolezza sul ruolo che il fumetto ricopre, a livello sociale e nella filiera culturale del Paese”, e che poi invece propone pochissimi numeri su cui riflettere.

Nell’indagine peraltro si parla del fumetto come di un medium da sempre sottovalutato come forma d’arte” (non si capisce perché gli addetti ai lavori sentano sempre il bisogno di alimentare questo senso di inferiorità), se poi chiami la tua ricerca “L’Italia a nuvolette” non è che ti stai sforzando al massimo per aumentare il livello della percezione del settore.

Insomma, la prima impressione è che la montagna abbia prodotto un topolino. Restiamo in attesa di nuovi sviluppi sperando di esserci sbagliati.