Creed è il film rivelazione del momento. Il giovane regista Ryan Coogler ed un rinato Sylvester Stallone mandano al tappeto critica e pubblico.
Il Golden Globe a Sylvester Stallone ed al suo incomparabile “amico immaginario” Rocky Balboa ha chiuso di fatto – in attesa degli Oscar- un cerchio aperto nel lontano 1976, quando un piccolo film indipendente, realizzato con pochi mezzi in appena quattro settimane, conquistò a sorpresa il mondo intero.
Quel film era, chiaramente, il primo Rocky, una pellicola capace come poche altre di parlare ad un pubblico trasversale che nel corso di decenni, tra gli alti ed i bassi della saga, ha sempre continuato a seguire con affetto le gesta del pugile italoamericano.
I temi di Creed, sono gli stessi di tutta la serie: la voglia di riscatto, la volontà di scrivere il proprio destino, il non soccombere ai duri colpi della vita.
Contenuti quanto mai universali, fortemente presenti anche in questo settimo capitolo che, tirando le somme, più che uno spin-off, sembra un ibrido tra un sequel ed un remake.
Ma bando alle etichette: Creed è anzitutto un bel film. Un film che funziona, coinvolge e spacca di brutto al contrario, ad esempio, di Southpaw, altra recente pellicola pugilistica sulla quale avevo riposto anche troppe speranze.
La differenza sta tutta nella scrittura del promettente regista e sceneggiatore Ryan Coogler, un cineasta appena ventinovenne, capace di entrare in punta di piedi in universo fortemente codificato e di dargli nuova linfa, senza mai snaturare lo spirito del franchise: una sfida non da poco, a suo modo simile a quella intrapresa da JJ Abrams con Star Wars.
Il risultato è sorprendente: Creed non è un semplice fan movie o un inutile reboot, ma una pellicola che gode di forza e vita proprie, gioca con i cliché e le pose di Rocky (la sveglia all’alba, l’allenamento, la scalinata, i pantaloncini di Apollo etc…) e richiama tutti gli episodi della serie senza farsi risucchiare nel buco nero del revival destinato ai nostalgici.
Coogler cura i particolari in maniera maniacale, scrive ottimi dialoghi, svecchia ed aggiorna un immaginario ingombrante donandogli freschezza ed un’inattesa vivacità.
Infine piazza un paio di piani sequenza da urlo e, soprattutto, tira fuori da Sly una tensione drammatica che non si vedeva dai tempi di Copland.
Il cast si dimostra più che all’altezza: il giovane Michael B. Jordan (che interpreta il protagonista Adonis Creed, figlio di Apollo) è una promessa da tenere d’occhio, così come la bravissima Tessa Thompson (Bianca) la cui palpitante interpretazione va a smussare gli inevitabili spigoli di una storia ad alto tasso di testosterone.
Un gigante chiamato Sylvester Stallone.
Ma passiamo a Stallone. Inizialmente la sua presenza doveva essere meno marcata, poi Coogler, vedendolo così in forma, ha deciso di spremere sino in fondo la ritrovata vena drammatica.
E Sly, seppur non protagonista, finisce spesso per rubare la scena sfoderando una delle migliori prove della sua carriera.
Anche se siamo dei duri dobbiamo ammetterlo: a vederlo vecchio e solo nel suo ristorante pieno di polverosi cimeli e ricordi e, poco dopo, seduto davanti alle tombe di Adriana e Paulie, ci si stringe un pochino il cuore.
Per non parlare di quando tira fuori una foto (presa dal suo archivio personale) insieme al figlio Sage (il quale aveva impersonato Robert, figlio di Rocky, nel quinto episodio della saga) spiegando che adesso se ne sta in Canada con la fidanzata, dove è sicuro che stia bene…
Per chi non lo sapesse Sage è mancato nel 2012, a soli 36 anni, per arresto cardiaco.
Complimenti dunque a Stallone per aver trovato la forza di alzarsi dal tappeto dopo il peggiore dei knockout, accettando dopo alcuni ruoli più leggeri (Grudge match, The Expendables 3…) di rimettersi in gioco in una parte così sentita e difficile.
Esattamente ciò che predica e pratica da quarant’anni il suo miglior amico immaginario.
Guarda il trailer di Creed su Youtube.