Dal tramonto all’alba è la serie di Roberto Rodriguez che riprende un cult come From Dusk Till Dawn. Poteva essere un disastro e invece non è niente male. Guardare per credere.

Da pochi mesi il regista texano Robert Rodriguez ha lanciato la sua nuova creatura: il network televisivo El Rey, in collaborazione con la Univision. Volto a catturare un pubblico, quello latino, non sempre considerato nella giusta misura dagli altri canali statunitensi, ma anche, più in generale, ad essere un network della gente come enfaticamente prometteva in prima persona in uno dei numerosi e accattivanti spot per il lancio del canale.

Il menù che propone è ricco e di sicura presa sui fan dei suoi film e del suo modo di intendere il cinema e l’intrattenimento, ma non solo. L’offerta può soddisfare tanto il nostalgico, quanto chi guarda al futuro, l’importante è essere appassionati di modi diversi di intendere lo storytelling.

Dal tramonto all'alba - La serie

El Rey network offre infatti repliche di serial televisivi di culto, come Dark Angel, Starsky e Hutch, X-Files, ma anche una ricca selezione di programmi sportivi, dedicati agli sport estremi, ai campionati di skateboard o in futuro, alla Lucha Libre, il catch messicano. Soprattutto offre l’equivalente televisivo di quelli che erano i festival tenuti dall’amico Tarantino in quel di Austin, con retrospettive cinematografiche di tutto rispetto, divise in Grindhouse, Cult Horror, Kung-Fu e Film Cult. Sul canale sfilano infatti numerose pellicole, già acquisite.

Di recente lo stesso Rodriguez ha presentato una serata a doppio spettacolo con gli esordi suo e di Tarantino, El Mariachi e Le Iene, trasmessi in versione double-bill con tanto di introduzione esclusiva filmata dal regista. Ma a rotazione sono visibili anche classici di John Carpenter, la serie Streetfighter con Sonny Chiba (quella che Clarence andava a vedere al cinema il giorno del suo compleanno in True Romance – Una vita al Massimo) e molti altri, spesso arricchiti appunti da intro esclusive, approfondimenti, special.

Al punto che filmando una di queste intro a casa di Carpenter, a Rodriguez è venuta l’idea per un nuovo programma di imminente lancio (si parla di prima dell’estate): una sorta di Inside the Actors Studio ma con i registi, una serie fatta di interviste condotte da Rodriguez a colleghi illustri dei quali è prima di tutto un fan e un ammiratore, come appunto il sommo John Carpenter, la cui puntata sembra aprirà le danze.

Dal tramonto all’alba è la serie tv

Ma la cosa più interessante che ha fatto seguito al lancio del network è stato l’annuncio di nuove serie tv create appositamente per il canale (a luglio inizierà Matador del duo Orci-Kurtzman e lo stesso Rodriguez che di Matador dirigerà il pilota, accarezza l’idea di portare sullo schermo il fumetto di Mike Allred, Madman, tra le cui pagine oltretutto compariva un suo alter-ego disegnato), la prima delle quali ad essere annunciata, prodotta e messa in onda a tempo di record è stata Dal tramonto all’aba (From Dusk Till Dawn), basata sull’omonimo film cult del 1996, da noi conosciuto con la traduzione letterale Dal tramonto all’alba.

Un’operazione sulla carta stimolante quanto rischiosissima, la possibilità di deludere i fan di uno dei titoli di maggior culto degli ultimi decenni era davvero molto alta. Ma ora che Dal tramonto all’alba ha raggiunto la metà, con la messa in onda del quinto di dieci episodi lo scorso martedì, possiamo tirare un sospiro di sollievo. Intendiamoci: Dal tramonto all’alba non è nulla di particolarmente eclatante, non è certo un serial che rinnova il mezzo o inventa qualcosa, tutt’altro. Molto semplicemente è un prodotto di puro intrattenimento che assolve piuttosto egregiamente la sua funzione e rivisita il film originale senza farlo vergognare di esservi associato.

E poi non scordiamo che l’aura mitica di Dal tramonto all’alba ha retto non solo agli anni, ma anche a due prodotti straight to video che gli facevano da sequel e da prequel, senza colpo ferire. E quei due film erano davvero imbarazzanti, con dei buoni spunti persi tra noia dilagante e budget completamente non all’altezza.

Dal tramonto all'alba - La serie

Soprattutto Rodriguez non vi ebbe di fatto niente a che fare se non per la stesura dei soggetti. Qui invece, poiché la serie è una sua idea è tutta un’altra musica. L’idea vincente alla base del serial è quella sorta di mantra che Rodriguez e Juan Carlos Coto, uno degli sceneggiatori hanno ripetuto a oltranza nelle interviste, nelle conferenze stampa e nel making of di venti minuti trasmesso su El Rey i giorni prima della messa in onda del pilota: se il film era il racconto breve, la serie tv è il romanzo. Ed è questo l’approccio adottato.

Tutto nasce nella mente di Rodriguez quando nel concepire il network cercava un qualcosa che fosse diretto e di sicuro impatto, che prendesse subito lo spettatore per la gola ma anche e soprattutto alla gola. Il fatto di avere avuto davanti agli occhi per anni nel suo studio il dipinto usato nell’ultima inquadratura del film, quella che rivelava come il locale sorgesse su un tempio azteco, unito al fatto che il nome del network è lo stesso del posto dove i fratelli Gecko dovevano andare (preso pari pari dal romanzo di Jim Thompson The Getaway, El Rey è il luogo-santuario dove i criminali si ritirano diventando re, omesso nelle versioni cinematografiche, quella classica di Peckinpah e il dozzinale remake, per una semplice fuga in Messico) ha fatto il resto, risvegliando nel regista una voglia di rivisitare quei personaggi e quelle tematiche, che latentemente aveva sempre avuto negli anni.

Dal tramonto all'alba - La serie

La serie, almeno finora, mantiene le promesse, prende i personaggi storici e li fa respirare, dà loro più spazio per sfaccettature e approfondimenti, partendo avvantaggiati dal fatto che di personaggi creati da Tarantino si tratta, quindi facenti parte di quelli con i migliori dialoghi e le migliori caratterizzazioni possibili. Per anni Rodriguez e Tarantino erano stati corteggiati dai vari network ma la fortuna di avere in mano i diritti dei loro film e dei loro personaggi (insieme alla Miramax, che figura tra i produttori esecutivi anche per lo show) ha fatto sì che si potesse aspettare il momento per sfruttarli al meglio.

Per darvi un’idea, quello che succede in questi primi cinque episodi è di fatto quello che succede nel film nei primi quaranta-quarantacinque minuti: fino all’arrivo dei cinque protagonisti alle porte del Titty Twister. Raccontato però in due ore e un quarto abbondanti. La storia di Dal tramonto all’alba c’è tutta, identica, con minime varianti, anche molte battute sono le stesse (Everybody be cool. You. Be cool per esempio, oppure vengono prese da altri film del regista – come il monologo sulla semplicità intrinseca delle pistole che faceva Tarantino in Planet Terror, qui riproposto da Richie).

Tutto il resto è una serie di cose in più, alcune azzeccate, altre meno, ma messe in un modo che fa funzionare l’insieme, che risulta ben oliato. Una serie di flashback ci mostra quello che nel film era solo accennato o lasciato intendere, dalla permanenza di Seth in prigione, alla rapina in banca ad Abilene finita nel sangue, dalla moglie di Seth (ricordate la mitica battuta di Clooney No grazie, ho già avuto una moglie? Ecco, qui ne farete la conoscenza) al sottotesto vampirico-onirico-mitologico qui molto più insistito e sviluppato sin dai primi minuti del primo episodio.

Che è poi quello che ha stimolato Rodriguez e i suoi sin dall’inizio: l’idea di poter giocare con quegli elementi solo minimamente accennati nel film per ragioni di tempo e di soldi, ma che qui potevano trovare terreno fertile.

Dal tramonto all'alba - La serie

Così ecco la mitologia mesoamericana dei riti sacrificali e tutto il resto mixata ad arte con quella dei vampiri e quel tempio azteco che ritorna di prepotenza. C’è anche un simbolo magico legato a un coltello che finisce nelle mani di Richie e ritorna di volta in volta, nonché la figura di Santanico, finora vista ma non ancora chiamata per nome, che appare nelle visoni di Richie dall’inizio della serie e gli parla.

La mitologia alla base della serie allarga i suoi tentacoli da subito, preparando la base per gli ultimi episodi della stagione e per quelli a venire prometteva Rodriguez, lasciando intendere che almeno una seconda stagione si farà, cosa poi confermata a fine marzo col rinnovo della serie per una seconda stagione da 13 episodi.

Veniamo ai personaggi e ai loro interpreti.

Zane Holtz è un Richie ben più complesso di quello interpretato da Quentin Tarantino nella sua migliore caratterizzazione, più ricco di sfumature e persino più folle di quello del film. Perché la sua pazzia non deriva dall’essere un criminale stralunato, maniaco sessuale e fuori di testa, ma proprio da un sentire voci soprannaturali che lo portano su strade di assoluta devianza, legandolo a doppio filo a quello che poi succederà nella seconda metà del serial e della storia (anche se Rodriguez ha già annunciato che è lì che arriveranno i cambiamenti maggiori e la storia delle serie si discosterà da quella del film, mentre finora gli è stata pressoché fedele). Zane sul set ha stupito tutti, dal regista ai colleghi, alla troupe, per la dedizione al ruolo e la sua preparazione. L’attore ha dichiarato non volevo imitare quello che Quentin ha fatto nel film, anche se penso che abbia fatto un ottimo lavoro, ma sentivo di avere l’occasione di poter fare qualcosa di mio.

D. J. Cotrona, che impersona Seth Gecko e con il quale Rodriguez voleva lavorare da tempo (e infatti in un paio di occasioni gli riserva lo stesso trattamento dato a suo tempo a Banderas, Clooney e ai protagonisti maschili delle tre storie di Sin City: riprese così galvanizzanti che ci si potrebbe fare un poster senza nemmeno ritoccarle), invece fa entrambe le cose, qualcosa di personale e, in qualche punto, una imitazione, anche abbastanza riuscita, di alcuni dei tic e delle movenze messe in bella mostra da Clooney in quello che fu il suo primo vero ruolo da protagonista al cinema e che lanciò la sua carriera sul grande schermo, cosa che nessuno sembra ricordare (ma lui sì, non ha mai smesso di sentirsi in debito con Rodriguez, divertendosi con lui in cammei per due dei tre Spy Kids, un paio di spot famosi e, in una bella intervista per una collector’s edition in blu-ray di Dal tramonto all’alba, ricordando i mesi della realizzazione col sorriso sulle labbra, senza mai rinnegare nulla).

Il resto del cast è composto da Don Johnson (già investito del Rodriguez touch in Machete) nei panni del ranger Earl McGraw – prima volta in tanti anni che il personaggio non viene impersonato dal mitico Michael Parks – nume tutelare del giovane ma risoluto ranger Freddy Gonzalez, interpretato da Jesse Garcia, che alla morte del primo giura vendetta e si mette alla caccia dei fratelli Gecko.

Personaggio questo totalmente nuovo, che apre alcune possibilità con cui giocare ed è protagonista di una caccia all’uomo che scorre sotto-traccia, parallela alla vicenda principale, anche lui investito dalle visioni che tormentano Richie man mano che la vicenda avanza.

Dal tramonto all'alba - La serie

La famiglia Fuller invece, che in Dal tramonto all’alba vedeva schierati come padre e figlia Harvey Keitel e Juliette Lewis, vede qui riuniti Robert Patrick, il mitico T-1000 di Terminator 2 (vecchia conoscenza di Rodriguez: era già in The Faculty, Spy Kids e Dal tramonto all’alba 2: Texas Blood Money, unico dei cast dei film ad essere presente anche nella serie tv) nei panni del capofamiglia Jacob, pastore che ha perso la fede in seguito alla morte della moglie (e anche questa sottotrama è molto approfondita rispetto al film, con tanto di flashback che ci mostra le circostanze dell’incidente), mentre Madison Davenport è la giovane Kate e Brandon Soo Hoo è Scott, più dinamico e cinematico della controparte filmica, assomiglia a un giovane Bruce Lee come ha pensato Rodriguez e come ha fatto dire a Richie nella serie.

Chi invece è totalmente diverso dal film Dal tramonto all’alba è il personaggio di Carlos, lì interpretato per pochi minuti da Cheech Marin uno degli attori feticcio di Rodriguez, qui impersonato da Wilmer Valderrama, noto in patria soprattutto per le sue commedie, in un ruolo ben più ampio, che lo vede a capo di un cartello messicano e soprattutto di una setta di vampiri, essendo lui stesso un vampiro mutaforma cosa di cui i Gecko sono totalmente all’oscuro.

A Eiza Gonzalez invece tocca il compito più difficile, quello di essere paragonata a Salma Hayek che con pochi minuti nei panni di Santanico Pandemonium nel film di Dal tramonto all’alba entrò nella memoria collettiva e nello star system hollywoodiano (dopo aver rotto il ghiaccio sempre con Rodriguez in Roadracers prima e in Desperado poi). Ci riuscirà? Lo sapremo nelle prossime puntate come si suol dire, perché finora è apparsa solo nel prologo a inizio serie che ha iniziato a svelare alcune cose sull’origine del personaggio e nelle visioni di Richie. Certo, l’impresa è ardua.

Finora il look della serie convince, dopo un primo teaser e un trailer non proprio eccelsi (soprattutto il teaser) e che non lasciavano presagire nulla di buono, con scelte non proprio scontate, un uso massiccio della steadycam e della macchina a mano, movimenti di macchina che si fanno sempre più audaci e meno classici nel progredire delle visioni di Richie e un senso di energia che pervade l’intera produzione.

E fa anche piacere ritrovare collaboratori storici del regista, tra cui Steve Joyner, che nel film era attrezzista e oggi è attrezzista e scenografo, o Carl Thiel, da anni aiuto compositore di Rodriguez che qui cura lo score in solitaria. Ci sono persino alcuni piccoli in-jokes come ad esempio la città per cui passano i Gecko, Acuña, che è la stessa dove è ambientato El Mariachi. Insomma c’è pane per i denti del fan come di quelli dello spettatore occasionale.

Dei cinque episodi di Dal Tramonto all’alba andati in onda finora Rodriguez ne ha diretti tre, i primi due e il quarto, stabilendo il look e il tono della serie, che vede tra i suoi registi Joe Hernandez, Eduardo Sanchez, Nick Copus e, per l’ottavo episodio, il regista del remake de La Casa di Raimi, Fede Alvarez, che proprio dal libro di Rodriguez, Rebel without a crew, fu ispirato a realizzare anni fa quel primo corto che lo portò a essere scoperto da Sam Raimi e la sua banda.

L’impressione è che Rodriguez voglia utilizzare il network come una palestra per la crescita di nuovi talenti, specialmente latinos. Tra gli sceneggiatori oltre allo stesso Rodriguez insieme ai cugini Alvaro e Marcel, già all’opera con lui su Machete e Machete Kills, figurano Diego Gutierrez, Juan Carlos Coto e Matt Morgan. Per quanto riguarda il gore e il sangue a ettolitri come diceva il caro vecchio Mario Brega, potete stare tranquilli, a differenza del film, dove era relegato essenzialmente nella seconda parte – oltre al prologo, qui abbonda sin dal primo episodio, lasciando lo spettatore curioso di vedere cosa succederà all’interno del locale.

In generale quello che si prova vedendo i primi episodi di Dal tramonto all’alba è sicuramente una sensazione di divertimento nel ritrovare reinventato quello che quasi vent’anni fa ci aveva colpito, con i mezzi di adesso e nella veste in cui alcune delle migliori storie vengono oggi raccontate, ovvero quella della tv, per lo più il pericolo è scampato (poteva essere veramente una mondezza) e sarà pure un allungare il brodo, ma con ingredienti tutto sommato comunque saporiti.

Soprattutto finora diverte e convince, tranne un paio di punti (nell’ultimo episodio ad esempio tutta la situazione del passaggio del confine col Messico è tirata in maniera inverosimile rispetto all’efficacia della stessa situazione nel film) ma in linea di massima è un piacere aver ritrovato i Gecko e questo universo narrativo. E c’è anche il giusto spazio per fare persino meglio. Il quinto episodio si chiude con i cinque davanti all’entrata del celeberrimo locale, tra la polvere alzata dalle moto dei biker e le fiamme circostanti. Il Titty Twister ha riaperto i battenti. Con la migliore selezione di passere, la loro madame macabro e fiumi di tequila… al sangue. Fatevi avanti, se ne avete il coraggio.