Day of the Fight, la recensione di Matteo Strukul dello strepitoso film di Jack Huston presentato alla Mostra del Cinema nella sezione Orizzonti Extra.

Day of the Fight di Jack Huston è tra i miei film preferiti di questa ottantesima edizione della mostra del Cinema di Venezia.

Al suo esordio come regista, l’autore britannico firma un film commovente e appassionato, complice, diciamolo subito, una prova attoriale clamorosa da parte di Michael Pitt.

Perché – mi chiedo – una simile meraviglia non ha trovato posto nel concorso principale? Vorrei saper rispondere. A ogni modo, pazienza, spero che stravinca la sezione di Orizzonti Extra.

La corona mondiale dei pesi medi

Narrativamente parlando, il film racconta proprio ciò che promette, e cioè il giorno in cui Mike Flanagan (un Michael Pitt semplicemente gigantesco, da Oscar subito) si reca da Brooklyn al Madison Square Garden per sostenere, la sera, l’incontro di boxe valevole per la corona mondiale dei pesi medi.

Girato completamente in bianco e nero e ambientato alla fine degli anni ‘80, Day of the Fight appare agli occhi dello spettatore come una lenta, straziante confessione da parte di “Irish Mike” che, pensando agli ultimi dieci anni di vita – tanti ne sono passati dal suo ultimo incontro – si ritrova a fare i conti con sé stesso e un passato nero e dannato, dopo il carcere, la separazione dalla moglie, un incidente mortale causato per ubriachezza.

È un personaggio ferito, spezzato, che tuttavia sceglie di accettare l’opportunità che gli viene offerta, nel tentativo di diventare un uomo migliore: per sé e per quanti gli sono stati vicino. E forse lo sono ancora.

Lungo l’intera giornata, il pugile incontra una serie di personaggi, in una sorta di pellegrinaggio dell’anima, quasi per esorcizzare i demoni che ancora albergano in lui. Vediamo allora il sorriso indulgente di un vecchio amico, un magnifico Steve Buscemi, le rampogne affettuose dell’allenatore e mentore StevieRon Pearlman intenso e profondo – il lungo dialogo appassionato con la moglie Jessica, interpretata da Nicolette Robinson come meglio non si potrebbe.

La scrittura è tesa, asciutta, calibrata in modo perfetto, il ritmo epico e intimo insieme, i personaggi mostrano sensibilità e fragilità, coraggio e passione mentre un senso di malinconia aleggia dall’inizio alla fine, culminando in alcune sequenze, a dir poco strazianti, che non rivelerò.

Un film che avrebbe meritato il concorso

Non so dirvi se questo è stato addirittura il mio film preferito, quello che so con certezza è che Day of the Fight è stato la vera perla di questa Mostra del Cinema, il film che meritava il concorso principale così come Michael Pitt la Coppa Volpi senza nemmeno pensarci. Ma questa è un’altra storia.

Di quest’attore, però, mi colpisce la pervicace volontà a essere protagonista di film indipendenti, senza mai concedersi al blockbuster o alla grande produzione, quasi avesse giurato a sé stesso di voler mantenere un’integrità artistica più unica che rara.

Ecco, forse la parola che mi fa venire in mente un film come questo è proprio INTEGRITÀ, intesa come amore per l’arte cinematografica senza compromessi, con una purezza tale da lasciare senza parole.

Sì, perché, per un cinema americano sempre più impegnato a camuffare mancanza di contenuti e storie con il marketing, la scelta di Pitt è addirittura spaventosamente romantica, talmente contro-corrente da apparire suicida e invece un film come questo – o come certe sue precedenti pellicole, penso a Black Flies e The Last Days of American Crime – dimostra che esiste ancora uno spazio per la visione artistica.

Se poi penso che Day of the Fight è un esordio cinematografico, quasi non ci credo. Non azzardatevi a perderlo quando uscirà al cinema, in Italia.