Diego Armando Maradona, un antieroe picaresco diventato suo malgrado un’icona pop. L’omaggio di Marco Azzalini per Sugarpulp Magazine.
Dunque addio, Diego Armando Maradona, anche se non ti ho mai conosciuto. E non dev’essere un caso che alla notizia della tua morte le prime parole a balenare siano quelle, celebri, che Elton John dedicò a Marilyn, eroina di un altro tempo, fragile e triste molto più che equivoca, soprattutto sola.
Certo, ora che Diego Armando Maradona se n’è andato davvero, c’è da rimanere sbalorditi a scoprirsi sorpresi della sua morte, quando semmai la meraviglia era ritrovarselo ogni volta ancora vivo e intero, dopo qualsiasi caduta, qualsiasi evitabile defaillance, qualsiasi romanzesca e mai troppo chiara traversia.
Ma è proprio qui il punto, Maradona aveva abituato all’eccezionalità, e dunque la sua uscita di scena coglie impreparati e suona come l’ennesima nota sinistra nella Spoon River di questo strano anno che sembra una sorta di faglia punitiva, frattura nella realtà capitata a dividere e allontanare epoche e mondi.
25 novembre
Se ne va il 25 novembre e molti notano l’assonanza con la morte di Castro, ma a pensarci ci sarebbe anche George Best, e in entrambi gli accostamenti c’è qualche frammento che avvicina alle bizzarre verità di questo giocoliere del calcio dalla vita funambolica, divenuto singolare icona pop capitata a ricordarci che no, gli eroi non sempre sono giovani e belli.
Un’onda emotiva enorme e corale accompagna il commiato, persino l’apertura del Corriere è una sintesi di eternità: “Ciao Diego, sei il calcio”. Ma la verità è che Diego Armando Maradona non incarnava solo il più grande calcio, giocato e vissuto.
Maradona sapeva evocare in tutti qualcosa di profondo e universale che ne spiega la dimensione mitica e trascende persino quell’enormità sportiva mirabilmente descritta recentemente da Sandro Modeo, che di lui e di Van Basten, pur diversissimi, aveva esplorato “il lato oscuro della grazia”, trovando il fil rouge di due compleanni da dimenticare.
Diego Armando Maradona non era solto il calcio
No, Maradona non era solo calcio. Piaceva alle persone perché se è vero che la sua arte parlava la lingua del pallone, e la parlava meglio di tutti rendendola poetica anche per i più restii, è soprattutto vero che la sua persona suscitava una particolare empatia radicata nella fatica di vivere che lo pervadeva e lo rendeva vicino al lato fragile della gente.
Piaceva perché era un picaresco antieroe, una figura per molti versi sconcertante nel coniugare capacità straordinarie e debolezze estreme e a tratti puerili, che lo riavvicinavano alla terra, anzi lo scaraventavano al suolo suscitando per l’appunto una empatia che a volte si faceva tenerezza e lo faceva percepire come vicino alle possibili malesorti di ognuno.
Maradona sbagliava spesso e tanto, nella vita, ma non riusciva a imparare a sbagliare. Il suo mondo interiore non era quello adulto dei personaggi di Paolo Conte, quello dove “si sbaglia da professionisti”. I suoi erano errori improvvidi e gratuitamente autolesivi, Maradona gettava via se stesso e risaliva e poi ricadeva, nell’altalena logorante di una vicenda umana tormentata e a tratti confusa, dove di certezze ce n’erano forse solo un paio.
Un paio di certezze, forse
La prima era che quei piedi straordinari operavano al servizio di una rara sensibilità personale, come è stato giustamente osservato, e che dunque il calcio era per lui un mezzo espressivo, più che un fine.
La seconda era che a quell’uomo per il quale riusciva naturale col pallone tutto ciò che ad altri pareva impossibile, riusciva invece impossibile trovare la strada di una vita che non fosse sghemba perché smodata, o smodata perché sghemba. Sapeva che cosa non andava, o almeno lo intuiva.
Lo aveva raccontato a Kusturica davanti alle telecamere, dove tra le altre cose si era spinto ad ipotizzare come sarebbe stato, lui, senza la droga. Non tentò mai di dare ragione ai suoi sbagli, dimostrando sovente verso se stesso una franchezza mai scontata.
Era generoso e straripante, incline ad una sorta di concava umanità che talora può portare a guai seri e a far sì che anche l’indulgenza degli altri nei tuoi confronti finisca col tradirti e magari lasciarti sognare di poter sottovalutare il problema dei conti da fare con te stesso.
Diego Armando Maradona e gli scandali
Perché va detto che anche il rapporto tra Maradona e lo scandalo, era curioso. Aveva travalicato più di un limite infinite volte, ma la gente, anche i più insospettabili, anche i più intransigenti, tendevano a giustificarlo. Se non a proteggerlo, certo a volergli bene.
E non si capiva mai fino in fondo se l’aspettativa enorme che sempre si avvertiva attorno a lui, altro tratto caratteristico della vicenda, venisse più dall’esterno o dall’interno, se quel troppo che lui somatizzava con gli eccessi promanasse da lui, indifeso rispetto alle proprie ambizioni, o lo travolgesse come un destino soverchiante e non accettato.
Faceva un casino tremendo, Maradona, questo sì. Con tutto, sempre. Si dimenava spaesato e inquieto in un mondo nel quale non riusciva a trovare casa e stabilità, perché era sempre troppo lontano o troppo vicino, troppo solo o troppo accompagnato, troppo forte o troppo debole, troppo grasso, troppo stanco, troppo desideroso di trovare il bandolo della propria biografia.
Era sempre troppo presto o troppo tardi per tutto, con lui alla ricerca perenne e a un tempo discontinua della trama di una vita che forse sentiva destinata a qualcosa di diverso, tra vaghe aspirazioni rivoluzionarie da capopopolo e saltuarie ambizioni professionali impensabili in ambienti oramai, o forse da sempre, dominati da regole che lo condannavano, alla fin fine, ad una emarginazione della quale non tentò comunque mai di fare motivo di orgoglio.
Un campione ammalato di solitudine
Ha detto bene Mario Sconcerti, ricordando come Maradona fosse ammalato di solitudine e desideroso di patrie. Piace pensare che per qualche tempo possa averne intravisto un sentore in quella Napoli che certo aveva trovato in lui una delle sue più felici espressioni e un insuperato motivo di vanto e lo aveva accolto rendendolo, per sempre e non per un pugno di anni, parte del proprio patrimonio più intimo ed onorato.
Al punto che Maradona ha finito con l’essere anche, e non marginalmente, il simbolo pop di un’epoca della città e di un preciso orgoglio partenopeo. E adesso, che siamo alla fine per davvero e le luci dello stadio San Paolo si accendono nella notte di novembre per rendere omaggio a un po’ di Napoli e di identità che vengono meno, scorrono nella mente le immagini di vecchi filmati in bianco e nero.
Il simbolo pop di un’epoca irripetibile
Maradona ragazzino, con il suo pallone ai piedi e lo sguardo da scugnizzo, lo stesso sguardo febbrile di sempre, il corpo in perenne movimento. Quel movimento che ancora incanta mentre lui palleggia, anni dopo, sulle note di Life is life, prima della semifinale contro il Bayern nell’89.
Era sempre uguale, Diego Armando Maradona, che giocasse un mondiale o che giocasse ad Acerra, in mezzo al fango e a parcheggi sgangherati, simbolo di un disordine sistematico e dunque a suo modo ordinato, nel quale lui, almeno per un po’, dovette trovare, se non la pace, almeno una provvisoria misura per le cose che troppe volte in seguito gli sarebbe mancata.
E viene in mente l’Alessandro Magno rimeditato da Vecchioni, cantato come un bambino troppo solo condannato a un futuro immenso, che divenuto condottiero si sarebbe perso nelle acque di confini lontani, spingendosi oltre ogni limite solo quale folle omaggio a un piccolo sogno d’infanzia negato, per una sorta di ripicca verso il destino.
Perché a volte si finisce col diventare leggende ma chissà cosa si sarebbe voluto in realtà dalla vita, a volte il talento si prende tutto quanto, a volte si entra nella storia smarrendo se stessi. Van Basten disse che non ne era valsa la pena, chissà Maradona che ne pensava.
E mentre si guardava indietro, non aveva niente da vedere. E mentre si guardava avanti, niente da voler sapere. Ma il tempo di tutta una vita, non valeva quel solo momento…
Diego Armando Maradona, così grande fuori. Così piccolo, dentro.