Disunione Europea, l’editoriale polemico di Francesco Ferracin alla ricerca dell’Europa Perduta. La ritroveremo?
Ebbene, parliamoci chiaro: lo spirito europeo che avrebbe dovuto renderci un solo popolo e una sola nazione e che ora (quasi) tutti si sono accorti essere, ovviamente, scomparso, è stato fondato su operazioni mediatiche demenziali quali “Giochi senza frontiere” e serie televisive co-prodotte da alcuni stati membri con un cast diviso per quote nazionali e politiche.
E sul’Erasmus.
La generazione Erasmus
L’Erasmus… Mi capita fin troppo spesso di leggere che la famosa generazione Erasmus è quella che più di altre ha saputo approfittare di questa nuova, libera, liberale e liberalista casa Europa, vivendo sulla propria pelle i vantaggi e gli allettamenti di un mondo sans frontières.
Ebbene, il sottoscritto non solo appartiene anagraficamente a questa generazione, ma ha pure avuto il privilegio di vivere l’esperienza Erasmus in tutta la sua perniciosa lunghezza e inutilità, perniciosa in quanto spesso irrilevante dal punto di vista accademico (pochi mesi non possono che illuderci di poter imparare e comprendere un’altra lingua, un ostacolo non indifferente alla frequentazione delle lezioni sulle quali si sarebbero poi dovuti dare gli esami da convertire nei loro omologhi italiani una volta tornati in patria col bagaglio pieno), e illusoria se non addirittura ingannevole per la formazione dell’individuo liberamente pensante in quanto chi ha fatto l’Erasmus e si ritiene intellettualmente onesto sa bene che i contatti “culturali” con gli indigeni erano sporadici, anche e non solo a causa dei pregiudizi che i cittadini di ogni nazione portavano con loro, e finalizzati alla mera sopravvivenza.
Ecco quindi che si finiva per sviluppare forme di socialità endogamica, fra studenti Erasmus accumunati dal fatto di esprimersi male in inglese, a prescindere dal paese europeo di provenienza e di quello di destinazione – escludiamo per il momento gli inglesi, gli irlandesi e i loro paesi – e dalla necessità di potersi accoppiare sessualmente con studenti di altre nazioni dell’Unione, non necessariamente per abbattere le differenze culturali fra gli stati membri, ma per sentirsi un po’ parte di una pubblicità United Colors of Benetton e poi del fortunatamente dimenticato capolavoro cinematografico intitolato “L’auberge espagnole”, il manifesto di questa ineffabile, ineludibile, inconsistente generazione di europeisti.
Un po’ come accade ogni anno nei litorali italiani durante la stagione estiva, ma con meno preamboli di natura filosofica e meno strascichi di natura psicopatologica.
Lo so, lo so… Sto esagerando, la mia è solo una malevola provocazione. E avete ragione.
Molti studenti Erasmus sono tornati in patria con una conoscenza perfetta della lingua straniera, e con tutti gli esami previsti dagli accordi tradotti nel libretto, e senza mai aver fatto neppure una volta, ripetizioni su un materasso.
Personalmente non ne ho conosciuto uno, ma forse è uno dei miei tanti limiti. E poi, anche se ci fosse veramente stato, dubito che questo studente modello fosse tornato in patria più europeo di quand’era partito.
Ma avete ragione. Ora sto provocando. E pure offendendo. Quindi non posso che scusarmi con tutti quelli che si sentono ingiustamente chiamati in causa.
L’Europa prima dell’Europa
Il punto è che non è che gli abitanti di questo continente, prima della fondazione del mostro antropofago chiamato Unione Europea (o prima CEE, CECA e via dicendo) e dell’istituzione del progetto Erasmus e dei suoi omologhi non fossero stati europei; come dire che gli italiani non fossero stati italiani prima dell’arrivo dei Savoia e di Mussolini (altro che Erasmus venne usato per fare gli italiani… magari di questo dovremmo essere sì un po’ grati alla UE).
Certo, i popoli europei, per i loro interessi “nazionali” si erano guerreggiati e scannati senza ritegno, ma, anche mentre lo facevano, non avevano mai smesso di coltivare fra di loro stretti rapporti commerciali e culturali che avevano permesso loro di diffondere per l’universo mondo (sic) un pensiero (soprattutto religioso) molto più “europeo” di quello che, da una decina d’anni, viene partorito dalla burocratica intellighènzia parcheggiata a Bruxelles.
Ora non vogliamo entrare nel merito se fosse stato meglio che i nostri antenati se li fossero tenuti per loro i succitati modelli culturali e religiosi, o se avessero fatto bene o male ad affrontare le loro divergenze di interessi sui campi di battaglia (piuttosto che alla borsa di Francoforte, Londra, Milano ecc.), ma qui si vuole semplicemente sottolineare che, forse, prima di invocare più “Europa” bisognerebbe definire di quale Europa stiamo parlando.
Poi, vi dirò, ogni epoca ha l’intellighènzia che si merita…
P.S.
Non c’è niente di male a esserci antipatici. Molto peggio è fingere di esserci simpatici.