Django di Sergio Corbucci è il film spaghetti-western per eccellenza. Un mito da riscoprire

Per chi non lo sapesse Django è il film “spaghetti-western” per eccellenza. Purtroppo né il genere né l’eccellenza albergano più in Italia da molto tempo, proprio per questo vi voglio parlare di un cinema che non esiste più.

L’occasione è Django, l’originale di Sergio Corbucci, del 1966 che consiglio di riscoprire prima della visione più contemporanea del capolavoro, a quanto dicono, Tarantiniano Django Unchained.

Django

La storia di questo film non sta tanto nella riuscita generale, peraltro innovativa e di assoluta eccellenza per l’epoca, ma nel come si è arrivati a generare un cult-movie planetario di genere (molto spaghetti e pulp) senza “quasi” la minima idea di cosa girare.

Infatti la genesi di questo lungometraggio è analoga a tanti prodotti di quel tempo, si partiva con un’idea, si cominciava a girare (all’epoca la pellicola costava parecchio per cui non si buttava via nulla) e si scriveva la sceneggiatura on-the-road (veniva riscritta anche decine di volte).

La location non soddisfaceva quasi mai i requisiti richiesti (motivi prettamente economici ovviamente), il tempo non bastava mai e gli attori andavano e venivano… spesso andavano per non tornare.

Django ha avuto tutte o quasi le caratteristiche sopra descritte e ne uscì il capolavoro!

Dimenticate Sergio Leone, solare, arido, dai grandi spazi cavalcati, della sua opera tenete solo gli sguardi. Immaginate di non poter scritturare Clint Eastwood ma solo uno sconosciuto con occhi azzurri e ciglio macho, ecco Franco Nero. Pare non abbiano trovato nessun altro disposto ad una trasferta spagnola per il periodo delle riprese.

Dimenticate la scenografia di Carlo Simi di Per qualche dollaro in più e prendete lo stesso Simi che deve combattere con dieci giorni di pioggia.

Django

Dimenticate la fotografia di Dallamano e Delli Colli così solare e ricercata, mettete un Enzo Barboni (alias E.B. Clucher regista di Lo chiamavano Trinità…) che senza luce gira tutto aprendo l’obbiettivo al massimo, in stile Duccio (Boris) quando dice “smarmella tutto”, definendo una nuova via al genere più pulp.

Dimenticate i cavalli e le praterie di un qualsiasi precedente film western dove buoni e cattivi cavalcavano fieri, Django trascina una bara…a piedi. D’altronde con tutto il fango che c’era sul set rischiavano di azzoppare animali senza motivo.

Dimenticate Ennio Morricone tutto perfetto con le sue arie orchestrali imponenti, perfette e riconoscibili anche da neofiti dell’ultima ora, si dimenticatelo perché il caso volle che un certo Luis Enríquez meglio conosciuto come Luis Bacalov firmasse una delle canzoni più belle del cinema di sempre con la voce del suo amico Rocky Roberts.

Dimenticate tutto quello che prima era lecitamente concordato in dosi di violenza, Django pone l’asta sopra ogni produzione dell’epoca per la sua violenza pulp: un orecchio mozzato, mani spappolate, sparatoria al cimitero, frustate, tutto con una crudeltà visiva mai vista prima.

Dimenticate la dittatura del regista, Django è figlio di molti, soprattutto di molti sceneggiatori quali Sergio Corbucci stesso, il fratello Bruno, il critico cinematografico Franco Rossetti e Piero Vivarelli (autore di 24.000 baci e Il tuo bacio è come un rock). Un gruppo eterogeneo mosso da sentimenti di amicizia, d’altronde all’epoca si potevano produrre anche tre film all’anno. Se poi contiamo che prima di partire per le riprese in terra di Spagna (come d’usanza all’epoca) la storia era:

Django

Corbucci: “C’è questo pistolero che cammina da solo trascinandosi dietro una bara”.
Vivarelli: “E poi?”
Corbucci: “Poi non lo so”

Se non vi basta vi lascio le parole di Rossetti che in un’intervista dice: “Il film doveva essere fatto subito, non ricordo perché, così la sceneggiatura doveva essere scritta il giorno dopo”.

D’altronde il nome stesso del film fu scelto con criteri poco ortodossi, Corbucci ascoltava Django Reinhardt chitarrista gitano, Bolognini (il produttore) guardando i dischi presenti in casa del regista indicò uno dei suoi dischi quasi a caso, Django suonava “esotico abbastanza”.

Ecco questo è quello che succedeva quando l’Italia era il motore del cinema mondiale, tanta passione e tanto artigianato ma soprattutto voglia di intrattenere lo spettatore con film “di genere”, senza pretese di messaggi messianici o valori di vita assoluti. Solo buon cinema molto western a volte un po’ pulp.

 

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