EL JOCKEY, la recensione di Silvia Gorgi del film di Luis Ortega in concorso all’81a edizione della Mostra del Cinema di Venezia.

Surreale, un po’ folle, con una dose d’ironia e spregiudicatezza, e alcuni momenti memorabili, El Jockey del regista argentino Luis Ortega, in concorso a Venezia81, ha quel certo “non so che”. L’autore, qui alla sua seconda opera, non ha paura di lasciarsi andare e dà sfogo alla creatività, confezionando una pellicola che di sicuro possiede una certa originalità.

Siamo a Buenos Aires a seguire le vicissitudini del fantino leggendario Remo Franceschini, dal passato travagliato, che vive una vita dissoluta al soldo del gangster Sirena, insieme alla compagna, Abril – la brava e sensuale Ursula Corbelo, la Tokyo della Casa di Carta – anch’ella fantina.

Un’identità da trovare

I suoi comportamenti autodistruttivi, minano il suo talento, e mettono in crisi la relazione con la fidanzata, che aspetta un figlio da lui. Il giorno della gara più importante, quando deve montare un cavallo fatto arrivare dal Giappone apposto per lui, per metterlo nelle condizioni migliori per vincere, vittoria che lo libererebbe dai debiti accumulati con il boss mafioso, ha invece un incidente.

Si ritrova così a vagare per le strade di Buenos Aires alla ricerca della sua identità, e si riscopre in maniera completamente nuova, trova il suo vero io, in una transizione di genere, ma ha alle calcagna gli uomini di Sirena che vogliono ammazzarlo. Nella prima parte, in cui molti sono gli episodi divertenti, a tratti anche buffi, strampalati, in particolare quelli legati ai balletti – chi lo vedrà capirà – il protagonista si muove quasi fosse una sorta di mimo in scena, e, il regista, si diverte a sperimentare nello stile e nel linguaggio.

Ottima prova di Ortega

Mentre, nella seconda parte, lavora sulla de-costruzione dell’identità fisica e psicologica di Remo, finalmente libero dalla veste di fantino, che ritrova il suo vero io. La trama, semplice, però si perde e diviene caotica, nel delirio del suo protagonista, fra citazioni di frammenti della storia del cinema, e slanci visivi, e si chiude non a fuoco.

Di sicuro però la pellicola ha il merito di aver messo in luce le doti di Ortega, che, seppur in maniera a tratti confusa, osa, facendo divertire lo spettatore, e finendo per collocandosi fra le promesse del cinema contemporaneo.